Vittime palestinesi Quale Corte renderà giustizia?

22.01.2009 13:25

di Elna Sondergaard

su Il Manifesto del 22/01/2009

I brutali attacchi israeliani alla popolazione di Gaza hanno comportato numerose violazioni delle norme basilari delle leggi internazionali, come il principio di proporzionalità e di distinzione (tra civili e combattenti; e tra obiettivi civili e militari).
Azioni militari come l'attacco intenzionale alle scuole o ad altre infrastrutture civili, sono considerate violazioni delle leggi umanitarie internazionali per le quali Israele è pienamente responsabile- ma costituiscono anche seri crimini di guerra nel quadro delle leggi internazionali per cui singoli individui dovrebbero essere processati.
La comunità internazionale ha approvato il principio della responsabilità individuale per i crimini di guerra internazionali sulla scia del secondo conflitto mondiale; il genocidio e i crimini contro l'umanità furono considerati totalmente inaccettabili, e gli individui responsabili di tali crimini furono considerati perseguibili penalmente.
La logica alle spalle del Tribunale di Norimberga del 1945 era chiara: senza un processo, pace e giustizia non sarebbero mai state fatte. Quest'idea della responsabilità individuale è stata poi conseguentemente applicata nel caso dei tribunali speciali per il Ruanda e l'ex-Jugoslavia. Se si applica questo modello di giustizia alle ostilità di Gaza si arriva naturalmente alla conclusione che il linguaggio della politica non è sufficiente per palare delle ultime atrocità commesse. È giunto il momento di processare individualmente i soldati israeliani, i comandanti delle forze armate israeliane (Idf), altri alti ufficiali dell'Idf, e, ancor più importante, il premier Ehud Olmert, il ministro degli esteri Tzipi Livni, il ministro della difesa Ehud Barak (più eventualmente altri ministri) come i responsabili delle sproporzionate operazioni militari nelle quali migliaia di civili (tra cui molti bambini) sono stati uccisi o feriti.
La questione cruciale è tuttavia: a quali corti di giustizia si possono rivolgere le vittime palestinesi? Ci sono corti palestinesi a Gaza, ma queste non hanno giurisdizione sui casi in cui è coinvolto Israele. In quanto popolo senza uno stato, i palestinesi non hanno un soggetto statale che possa firmare lo statuto di Roma e appellarsi al giudizio della Corte internazionale, o che sia abilitato a portare il caso alla corte dell'Aja, così come ha fatto la Bosnia-Erzegovina per la strage di Srebrenica. Ai palestinesi, senza uno stato, è negata anche la protezione legale offerta dalla diplomazia classica interstatale.
Sarebbe anche possibile iniziare la prosecuzione penale contro Israele all'interno del sistema giudiziario israeliano, ma ciò dipende dalla decisione del pubblico ministero. Già dall'occupazione israeliana di Gaza e della West Bank del 1967, gran parte delle gravi infrazioni alle leggi umanitarie internazionali - inclusa l'uccisione volontaria di civili - non sono state investigate dalle forze armate israeliane, e tanto meno sono diventate materia di procedimento penale. Quasi sempre le autorità israeliane hanno chiuso un occhio sulle violazioni delle leggi internazionali. Nei rari casi in cui l'esercito israeliano ha svolto indagini, queste sono state di pessima qualità, e le vittime palestinesi non sono state accolte come testimoni. Tutto ciò è stato dimostrato in modo convincente da numerose Ong. In altre parole: la discriminazione all'interno del sistema penale israeliano sbarra ai palestinesi l'accesso agli effettivi rimedi giudiziari. Il risultato è che le corti israeliane non sono nella posizione di giudicare imparzialmente e indipendentemente i casi criminali che riguardano Gaza.
I palestinesi, che si vedranno probabilmente opporre un rifiuto alla richiesta di serie indagini penali, hanno la possibilità di cercare giustizia in altri paesi sulla base della giurisdizione universale. Sebbene questi casi penali siano stati accolti dalle corti di Belgio, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna, Svizzera, e Gran Bretagna, queste iniziative non hanno (ancora) portato ad alcun risultato nei processi in cui gli israeliani sono accusati. A causa di diversi ostacoli - politici, legali, e pratici - legati ai processi in paesi stranieri, questi fori non saranno disponibili per la grande maggiornaza dei civili palestinesi di Gaza . Tutto ciò implica che l'azione giudiziaria per questi crimini internazionali non sarà interna: i palestinesi di Gaza sono nelle mani della comunità internazionale, che ha il potere di cercare giustizia processando i responsabili. La comunità internazionale - attraverso l'Onu - potrebbe farsi carico di questa responsabilità sia portando i casi alla Corte penale internazionale, sia prendendo l'iniziativa di stabilire un tribunale ad hoc con lo scopo di giudicare i seri crimini commessi dalle autorità israeliane a Gaza nelle settimane scorse. Il tribunale dovrebbe avere anche il mandato di giudicare i crimini commessi da Hamas con il lancio di missili su Israele.
Un giusto processo dovrebbe offrire alle vittime l'opportunità di raccontare le loro storie e presentare le prove a giudici indipendenti; le vittime palestinesi e israeliane sarebbero uguali - lo svantaggio di essere senza stato e la disparità di potere tra le due parti scomparirebbe; le testimonianze di migliaia di palestinesi sarebbero finalmente ascoltate. Un tale processo potrebbe mettere a tacere le accuse interminabili da entrambe le parti aprendo una valutazione legale imparziale basata su argomentazioni rilevanti. Un tale processo invierebbe un segnale chiaro, che in tempi moderni tutti gli individui devono essere responsabili per le loro azioni. Un tale processo, infine, potrebbe probabilmente essere d'aiuto per impedire atrocità a Gaza in futuro, e stabilirebbe le condizioni per una pace di lungo termine.
Chiamare i colpevoli a giudizio non costerebbe nulla alla comunità internazionale, mentre la mancanza di ricorso alla responsabilità individuale costerebbe caro ai civili di Gaza, senza contare che i politici e i soldati sarebbero ancora incoraggiati a credersi esentati dalla legge e nel diritto di poter fare qualsiasi cosa.
Direttrice del Programma per i diritti umani all'Università americana Cairo di Melbourne.

Traduzione di Nicola Vincenzoni

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