
La lezione dell'Avicola San Martino
di Dino Greco
su Il Manifesto del 24/12/2008
L'Avicola San Martino di Cazzago (Brescia), una settantina di dipendenti, è un'azienda specializzata nella macellazione del pollame, realtà formalmente autonoma e in regime cooperativo, ma in realtà articolazione produttiva del gruppo Amadori.
A un certo punto, siamo nel 2005, il re dei polli (detto senza ironia) decide di abbattere il costo del lavoro comunicando ai lavoratori che ogni prospettiva di continuità e di investimento nel consolidamento aziendale passa attraverso la riduzione delle retribuzioni, cioè sostituendo con il contratto delle cooperative agricole quello in essere, più oneroso, delle cooperative di trasformazione e azzerando tutti gli emolumenti aggiuntivi frutto della contrattazione integrativa aziendale: una decurtazione di quasi 2.000 euro annui per dipendente. Il ricatto è esplicito: prendere o lasciare (cessazione dell'attività e licenziamento per tutti).
In azienda sono presenti due sindacati, la Cgil e la Cisl. Mentre quest'ultima si dichiara subito disponibile, la Cgil si oppone e ricorre contro l'azienda per attività antisindacale, incassando una sentenza che impone all'azienda di sedersi a un tavolo e trattare. Ma tutto, ben presto, si risolve in una finzione. L'azienda ripropone le proprie condizioni capestro e la Cisl, forte della maggioranza dei lavoratori e facendosi scudo del ricatto aziendale, sottoscrive la capitolazione. A questo punto, la Flai-Cgil raccoglie le firme delle proprie iscritte alle quali si aggiungono alcune aderenti alla Cisl e promuove un nuovo ricorso, contestando il diritto della Cisl di esercitare, con efficacia erga omnes, una potestà derogativa rispetto a contratti collettivi sottoscritti da tutte e due le organizzazioni sindacali. La sentenza di primo grado - confermata in appello il 12 dicembre scorso - ordina all'azienda di risarcire i lavoratori di quanto è stato loro indebitamente sottratto: oltre 5.000 euro ciascuno. Ora, questa vicenda si presta a alcune considerazioni che travalicano, per importanza, il già rilevante successo della lotta ingaggiata dalle operaie dell'Avicola San Martino.
La più scontata, ma valida, è che la coesione dei lavoratori, unita a un sindacato che non abdica al proprio ruolo, pagano. Anche quando il crinale è ripido e la posta altissima.
La seconda è che avendo il giudice disposto che il risarcimento è dovuto ai soli ricorrenti, ne sarebbero esclusi - salvo atti unilaterali e estensivi da parte dell'azienda - gli iscritti alla Cisl che avevano aderito all'accordo separato. L'ipotesi di un doppio regime (nemesi paradossale per una Cisl corriva che sulla rottura del fronte sindacale aveva speculato) sembra improbabile, oltre che, malgrado tutto, non auspicabile. Anche se non scontata: i padroni non sono mai inclini alla generosità con i loro servi; li usano, ma non li munificano se ciò contrasta con i propri interessi.
La terza riguarda i riflessi di questa vicenda sullo scenario più ampio delle relazioni sindacali in Italia, compromesse dalla vulgata degli accordi separati che Cisl e Uil stanno sottoscrivendo urbi et orbi nell'intento di isolare la Cgil e riscuotere dalle controparti qualche modesta ancorché subalterna rendita di sottogoverno. Pier Giovanni Alleva ha già mostrato, su queste colonne, come persino la madre di tutti gli accordi separati - quello sul modello contrattuale, sottoscritto da Cisl e Uil con Confindustria e poi di seguito replicato con Confapi - possano essere efficacemente contrastati con solidi argomenti giuridici, oltre che, naturalmente, con la lotta. La sentenza dell'Avicola San Martino ne è un'eloquente conferma. Un plauso particolare, dunque, alla tenacia dimostrata dalle lavoratrici dell'Avicola che vincono per se stesse e per tutti. E un ringraziamento agli avvocati Piccinini e Mangione che alle ottime ragioni di questa lotta hanno creduto sino in fondo.
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