
Un dipendente su due senza cassa integrazione
di Sara Farolfi
su Il Manifesto del 11/01/2009
Lo studio Cgia. Lunedì il decreto anticrisi alla camera
Sono oltre 7 milioni, tra lavoratrici e lavoratori. Il 50% del totale dei dipendenti italiani (non considerando il pubblico impiego) che, pur non essendo propriamente precario, non ha diritto a nessuna misura di sostegno al reddito. Lo studio dell'associazione artigiani e piccole imprese (Cgia) di Mestre, diffuso ieri, mostra tutta l'inadeguadezza del nostro sistema di ammortizzatori sociali. Oltre a quella del cosiddetto «decreto anticrisi» del governo che non stanzia un euro in più per fare fronte alla gravità della crisi e che lunedì alla camera inizia il suo iter verso l'approvazione (con il voto di fiducia che viene dato quasi per certo).
Il 2009 sarà un anno recordo di cassa integrazione, ha detto il presidente dell'Inps due giorni fa, soprattutto di quella «ordinaria» (che si applica ai settori dell'industria, dell'edilizia e dell'agricoltura e che risponde a crisi di carattere transitorio) e di quella «in deroga» (che si applica a quei settori e tipologie di aziende che a norma di legge non ne avrebbero diritto). Solo a dicembre le richieste di cig sono aumentate, su base annuale, del 500%. L'impatto sociale è esplosivo. Per chi ne ha diritto, la cassa integrazione significa campare con non più di 800 euro al mese nella gran parte dei casi. Ma sono in molti a non avere diritto a nessuna misura di protezione. I precari a vario titolo innazitutto - i primi a 'saltare' - una giungla contrattuale che è andata infoltendosi ope legis negli ultimi anni e che oggi conta poco meno di 5 milioni di persone: secondo alcune stime sarebbero 350 mila i precari che, per effetto della crisi, ogni mese corrono il rischio di non vedersi rinnovato il contratto.
Ma anche tra i dipendenti sono in moltissimi - la metà del totale, secondo quanto indica l'indagine degli artigiani di Mestre - a non avere diritto a nessuna forma di protezione. La maggior parte di costoro (2,3 milioni) lavora nei servizi e poi, a seguire, nelle piccole e medie imprese del commercio (1,9 milioni), nell'artigianato (889 mila), nel settore del turismo (870 mila tra alberghi e ristoranti), nel credito e assicurazione (544 mila) e nella comunicazione (338 mila dipendenti).
Se questo è l'ordine di grandezza dei numeri, appaiono a dir poco inadeguate le misure messe in campo dal governo. Ieri si è conclusa la votazione degli emendamenti al «decreto anti crisi» in commissione bilancio e finanze alla camera e lunedì il testo inizia dalla camera il suo iter verso l'approvazione. Qualche novità è stata introdotta, ma non in quanto a risorse rispetto alle quali non un euro di più è stato stanziato. Per la cig in deroga (che a differenza della cig ordinaria non è alimentata dai contributi di lavoratori e imprese ma da un fondo specifico del governo) si tratta di quei 450 milioni di euro (già previsti) a cui il governo ha aggiunto a dicembre 150 milioni di euro. Davvero insufficiente: negli emendamenti approvati si prevede che al sostegno al reddito vengano destinate le risorse del fondo sociale europeo per l'occupazione e la formazione, ma nessuna quantificazione è stata fatta.
Sulla possibilità di introdurre trattamenti di cassa integrazione differenziati e modulati per regioni (gabbie salariali, in altre parole), il testo finale sembra fare chiarezza dopo l'allarme della Cgil, specificando che «resta fermo il limite del tetto massimo nonchè l'uniformità dell'ammontare complessivo di ciascuna misura di sostegno del reddito». Viene ribadito infine il fatto che gli ammortizzatori sociali saranno concessi solo a chi, rimasto disoccupato, dichiarerà (per iscritto) immediata disponibilità a un nuovo lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale. Secondo l'ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd), «diventa sempre più stridente il contrasto tra le misure ordinarie adottate dal governo italiano e l'azione radicale dei maggiori paesi industrializzati del mondo».
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