Torino, Thyssen alla sbarra. Prima udienza per il rogo

16.01.2009 13:37

di Maurizio Pagliassotti

su Liberazione del 16/01/2009

E' giunto il momento del giudizio a Torino per il processo ThyssenKrupp. Sarà tra poco più di un anno: questi sono i tempi necessari per giungere a sentenza, almeno secondo il parere degli avvocati. Si saprà allora se i sei dirigenti della ThyssenKrupp accusati di reati gravissimi, compreso l'omicidio volontario, finiranno in galera.
Non se sono colpevoli, perché per chi ha perso figli, mariti, fratelli, amori e sentimenti quella sentenza è già suonata. E non c'è scusa, non c'è lacrima di coccodrillo, non c'è gesto di buona volontà che possa placare la collera e la disperazione di questi uomini e donne che da un anno vivono sulla loro pelle il significato degli omicidi "bianchi". Fa sempre impressione vedere queste mogli, madri, fidanzate, sorelle e padri: è come se il tempo ed il suo potere lenitivo non avesse effetto, ed il dolore, il disgusto ed il senso di ingiustizia crescesse giorno dopo giorno. Sono giunti in blocco a Palazzo di giustizia, come la solito, indossando magliette con la foto dei loro cari. Hanno appeso uno striscione in cui invocano giustizia ed anche severità di giudizio.
Lenzuolo che nessuno ha osato rimuovere fino alla fine dell'udienza. Poi si sono seduti in mezza alla folla che si è assiepata nell'aula uno. Un mare di gente che durante lo svolgimento dell'udienza ha visto crescere lo schifo per ciò che vedevano.
Quattro dei sei imputati sono stati dichiarati contumaci. Non c'erano i tedeschi, i padroni. Pare che avessero gli impegni, i business. Non avevano quindi tempo per le quisquilie relative a 7 morti ammazzati: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi. Ci sono invece Raffaele Salerno, ex direttore dello stabilimento di Torino di corso Regina Margherita e Cosimo Cauferi, responsabile area sicurezza e servizio prevenzione rischi di Torino. Entrambi sono accusati di omicidio colposo, omissione dolosa di cautela. L'ex procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, che ha di fatto trascinato sul banco degli imputati i sei mega dirigenti ThyssenKrupp, è stato il primo a prendere il posto sul banco dell'accusa. Dietro di lui, a pochi passi, Rosina De Masi, la mamma di una delle 7 vittime del rogo, ringhiava rivolta agli imputati presenti: «Mi spiace solo che molto probabilmente non avranno l'ergastolo». C'è un gran bisogno di giustizia in questa aula di tribunale, e come dice lo stesso Guariniello: «Non deve essere un processo esemplare ma giusto. E' la prima volta nella storia del nostro Paese, e non solo, che un incidente sul lavoro arriva in Corte d'Assise».
Alle dieci del mattino la corte però non si è ancora presentata. Pare che tre dei sei giudici popolari hanno rimesso il mandato. In aula cresce la tensione. Alcuni giorni fa avevano rilasciato alcune dichiarazioni a La Stampa e per questa ragione la presidente, il giudice Maria Iannitelli, vorrebbe rimuoverli. Il rischio è che la difesa degli imputati ne richieda la ricusazione fra qualche mese, guadagnando tempo prezioso per raggiungere l'agognata prescrizione del reato. Dopo oltre un'ora di attesa giunge la notizia che i tre giudici popolari un po' chiacchieroni sono stati rimossi e la composizione della corte ora è cambiata: cinque donne ed un uomo. Di fatto cambia poco.
Si prosegue: vengono ammessi nell'aula telecamere e fotografi. Trentuno operai ThyssenKrupp chiedono di costituirsi parte civile. La difesa degli imputati ha un profilo basso. Non è questo il momento per scatenare l'artiglieria degli azzeccagarbugli. Lo faranno sicuramente, sono dei principi del foro e quest'aula giudiziaria avrà occasione di sentirne di tutti i colori.
Alle due e un quarto la prima udienza del processo ai padroni è finita. La prossima si terrà fra una settimana. Di sostanziale non è successo nulla, ma il valore simbolico è enorme. Soprattutto la presenza in massa tra la folla di lavoratori sembra segnare uno spartiacque in questo momento tremendo per Torino. Ci sono operai in cassa integrazione, disoccupati dell'indotto Fiat, precari, casalinghe realmente disperate perché non sanno come far quadrare i conti della famiglia. Tutti chiedono che almeno la Giustizia non pieghi la testa di fronte a questi cosiddetti imprenditori.
«Sono venuto qua perché sono in cassa integrazione, sono un operaio dell'indotto Fiat. Quei 7 colleghi sono morti per fare ricchi gli azionisti, quelli della borsa. Per noi la situazione non è la stessa ovvio... ma anche noi con la nostra vita arricchiamo solo poche persone. Io mi sento un oggetto. Mi dicono oggi lavori, domani no, tra un mese sì... Cosa può portare a chi lavora questo processo? Non lo so, ma una sentenza dura direbbe una cosa semplice agli imprenditori: non potete più fare quel cazzo che volete. A tutto c'è un limite».

Cerca nel sito

Contatti

Paritito della Rifondazione Comunista - Circolo Karl Marx Jesi Via Giacomo Acqua 3 TEL-FAX 0731-56776
Crea un sito web gratis Webnode