Senza memoria. Smemorati a Trieste

10.02.2009 13:32

di Enzo Collotti

su Il Manifesto del 10/02/2009

Dopo il Giorno della memoria, a rischio ritualizzazione ma anche banalizzazione, oggi è il Giorno del ricordo delle foibe con uno strano «equilibrismo»: trionfano i neofascisti riciclati senza pagar dazio né per la Shoah né per le persecuzioni contro gli slavi

È appena passato il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, dedicato al ricordo della Shoah e della deportazione nei campi di concentramento e di sterminio che già si avvicina il Giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dei profughi dall'Istria (il 10 febbraio), in una continuità di brevissimo periodo che rischia di offuscare, con la visibilità posta sulla seconda delle date, il significato e la specificità della prima. L'attuale momento e congiuntura politica non contribuiscono a dissipare una possibile confusione, anzi, ad arte o quasi naturalmente, finiscono per eliminarla. Qualche riflessione sulle tensioni che si scaricano sul circuito della memoria come fattore collettivo che sollecitano l'attenzione della nostra società perciò si impone.
Partiamo dalla Giornata della Memoria. Come è stato ripetutamente osservato, la celebrazione di quest'anno ha messo in evidenza l'elevato grado di ritualizzazione in cui la quasi decennale reiterazione ha condannato e condanna questo tipo di occasione. Una seconda osservazione, forse non del tutto indipendente dalla prima circostanza, può riguardare il fatto che a giudicare dall'elenco delle manifestazioni diffuse in ogni angolo del paese, il Giorno della memoria rischia di perdere la specificità del ricordo centrato sulla vicenda della Shoah per dilatarsi e scolorirsi nella genericità del ricordo di un numero infinito di stragi, di eccidi e di ingiustizie commessi in ogni parte del mondo. Ognuna di queste stragi, ognuno di questi eccidi ha una sua dignità e merita uno spazio di memoria nel mondo civile. Ma ricordare nel giorno della memoria i tupamaros o i desaparecidos dell'America latina non contribuisce a ridare al Giorno della memoria la specificità che gli deve essere propria. Spesso le comunità locali si sono adeguate ai riti del 27 gennaio facendo riferimento ad eventi o a persone di più immediata percezione nella rispettiva area territoriale, dando vita alle manifestazioni più diverse, letture di testi, rappresentazioni sceniche, interventi musicali o cinematografici. Penso che vada tutto bene, ma a condizione che non si perda di vista il nucleo centrale originario del quale era stata mossa l'iniziativa del 27 gennaio.
Poiché essa è nata con la destinazione prevalente ma non certo esclusiva del lavoro con e nelle scuole, tornare alla metrica originaria appare assolutamente necessario. Perché la memoria che si voleva sollecitare non era operazione di di mera conservazione ma implicava una iniziativa di permanente apprendimento.
Se così stanno le cose, ripristinare la specificità della Giornata della memoria significa abbandonare la genericità degli infiniti orrori del mondo per tornare al cuore della ferita lacerante che la Shoah ha aperto nel secolo XX nella nostra civiltà. Una cattiva informazione, troppo rapide e confuse incursioni televisive continuano a rappresentare l'orribile evento quasi fosse una catastrofe naturale isolato da ogni precedente sviluppo e dalla necessaria contestualizzazione. Si pronuncia appena la parola nazismo, quasi sempre si tace del fascismo, il contesto della seconda guerra mondiale, guerra totale come non mai, sembra svanire sullo sfondo. La spettacolarizzazione dell'orrore sembra prescindere da una seria informazione sulla radice della persecuzione, sul razzismo, sulla natura dei regimi politici che hanno coltivato progetti di distruzione fisica di intere etnie, di componenti culturali e sociali alla base della nostra comune umanità e civiltà. La scuola deve tornare ad insegnare, a restituire i percorsi storici che rendano comprensibili le cadute di civiltà delle quali uomini, società, regimi si sono resi responsabili, chiamando le cose con il loro nome, il fascismo e il nazismo con i regimi collaborazionisti senza i quali non sarebbe stato possibile tentare di costruire un Nuovo Ordine europeo.
Il culmine della schizofrenia la televisione lo esprime quando proietta uno spezzone di campo di sterminio all'interno di un telegiornale che trasuda il razzismo quotidiano di questa nostra Italia imbarbarita, senza rendersi conto dell'effetto di neutralizzazione che l'orrore del passato esercita sulla barbarie del presente.
Bisogna reagire al rischio della ritualizzazione come a quello di una indebita attualizzazione riportando gli eventi alla loro reale radice storica, che vuol dire sempre complessità, e resistendo alla tentazione di giocare le ricorrenze l'una contro l'altra, le foibe contro la Shoah. La pur giusta e opportuna riesumazione dell'odissea di profughi e gruppi nazionali costretti ad abbandonare il suolo natio, come avvenne alla fine della seconda guerra mondiale in quasi tutta Europa, non può e non deve portare all'equiparazione e all'omologazione di fatti ed esperienze di assai diversa qualità e dimensione, ancorché all'interno di un contesto e di uno scenario storico-politico che li comprende tutti. La riserva e la prudenza critica non sono frutto di astratto rigore storiografico, derivano dal confuso e, diciamo pure, torbido momento politico che stiamo vivendo con la corsa a rivincite e riciclaggi politici cui ci ha abituato lo sbracato revisionismo nostrano.
Quello che comunque vorremmo che fosse evitato è lo strano equilibrismo di chi, andando a Trieste, vuole andare insieme a S.Sabba e alle foibe, perché mescolare due occasioni così distinte non aiuta a fare l'indispensabile operazione di distinguere, aiuta soltanto a svalutare una circostanza a vantaggio dell'altra, a rendere omaggio a S.Sabba in virtù di legge per sfogare alle foibe il sempiterno vittimismo italico. I riciclati neofascisti di An, diventati improvvisamente i paladini più sfrenati dello stato di Israele, che meriterebbe certo ben migliori alleati, potranno così cantare vittoria ad assai buon prezzo, senza aver pagato alcun dazio né per le responsabilità fasciste nella Shoah né per le persecuzioni contro le popolazioni slave.
Quando sosteniamo la necessità di tornare alla storia non intendiamo fare nostro l'impulso revisionista di gettare tutto nel calderone della Storia, che tutto ingoia e tutto omologa, ma al contrario rivendichiamo la necessità e il diritto di valutare le ragioni e i comportamenti che sono stati alla base degli eventi che vogliamo ricordare, per ridare a ciascuno di essi anche la giusta proporzione, contro l'omologazione secondo la quale ogni cosa è uguale a un'altra che, oltretutto, è la via diretta per alimentare l'indifferenza.

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