Senz'acqua potabile né cure specialistiche, così sopravvive la Striscia

13.04.2009 13:42

di Michele Giorgio

su Il Manifesto del 12/04/2009

Dopo Piombo fuso oltre 150.000 palestinesi a secco, mentre la crisi Fatah-Hamas impedisce ai malati gravi di andare all'estero

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Di Gaza si è parlato di nuovo mercoledì scorso, grazie al leader dello Sinn Fein, Gerry Adams, entrato nella Striscia per lanciare un appello alla pace e incontrare i leader di Hamas nonostante l'ostruzionismo israeliano. Ma è stato solo un lampo. Per i media internazionali le conseguenze di «Piombo fuso», l'offensiva israeliana che lo scorso gennaio ha ucciso oltre 1.300 palestinesi e distrutto o danneggiato migliaia di abitazioni, non fanno più notizia. E ben pochi ricordano i quattro miliardi di dollari promessi a Gaza dalla Comunità internazionale tra le fanfare del vertice di Sharm el Sheikh.
Eppure Gaza vive una situazione drammatica. Il blocco israeliano è rigidissimo. Le autorità militari lasciano passare solo il minimo indispensabile per evitare una crisi umanitaria di proporzioni eccezionali. Oltre 150mila abitanti (il 10% della popolazione) continuano a non avere accesso all'acqua potabile a causa delle distruzioni subite dalla rete idrica, alle quali vanno aggiunti i danni alla rete fognaria. «Israele nega l'ingresso a Gaza ai materiali necessari per riparare i danni. Sino ad oggi siamo riusciti a far entrare solo tre degli 80 autocarri carichi di ciò di cui abbiamo bisogno», denuncia Munther Shoblak, direttore generale de Coastal Municipalities Water Utility.
Circa 50mila abitanti sono senza acqua potabile perché non hanno più una casa e altri 100mila a causa dei danni alla rete idrica. Dei 150 pozzi di Gaza - l'unica fonte d'acqua, oltre quella che viene da Israele - undici non funzionano più e sei sono stati distrutti dai bombardamenti. Migliaia di palestinesi perciò bevono grazie alle autocisterne delle organizzazioni non governative (ong) Oxfam, Action contre la Faim and Care. C'è inoltre il pericolo della contaminazione. Le centrali di Beit Hanun e Zaitun per il trattamento delle acque nere e di scarico sono rimaste gravemente danneggiate mentre l'impianto di Gaza city, colpito dai bombardamenti, per 20 giorni ha scaricato nel terreno acqua di fogna.
Le conseguenze per i civili di Gaza del blocco attuato da Israele vengono aggravate dalla frattura l'Anp di Abu Mazen e Hamas, che settimane di colloqui al Cairo per la «riconciliazione» non sono riusciti ad accorciare. «Ogni mese circa 900 palestinesi di Gaza gravemente ammalati vengono trasferiti in ospedali di Gerusalemme Est, in Egitto, Giordania e in Israele, ma ora non riescono più a lasciare la Striscia a causa dell'ulteriore peggioramento dei rapporti tra Fatah e Hamas», denuncia Tony Laurance, direttore ad interim dell'Oms in Cisgiordania e Gaza. Il 22 marzo Hamas ha occupato a Gaza l'ufficio dell'Anp incaricato di segnalare alle autorità israeliane ed egiziane i casi più urgenti di ammalati bisognosi di cure urgenti all'estero. Hamas, attraverso il portavoce del ministero della sanità a Gaza, ha giustificato l'azione di forza con «la necessità di sostituire funzionari corrotti dell'Anp». Secondo calcoli dell'Onu e dell'Oms, al momento circa 300 pazienti di Gaza sono in condizioni critiche e necessitano di cure immediate.
Egitto e Israele però fanno riferimento solo ai funzionari e dirigenti dell'Anp e non riconoscono i dirigenti di Hamas ora responsabili dell'ufficio per i casi degli ammalati gravi. L'associazione israeliana Medici per i diritti umani ha chiesto al governo Netanyahu un atteggiamento diverso. «Israele in ogni caso è tenuto a dare la possibilità ai malati gravi di poter lasciare Gaza e ricevere cure adeguate», ha precisato Tami Sarfatti a nome dell'associazione.

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