Se l'Italia avesse bisogno di energia

25.02.2009 14:13

di Angelo Baracca

su Il Manifesto del 25/02/2009

L'Italia ha bisogno di questa energia? Il nucleare produce solo energia elettrica, che copre meno di un quinto dei consumi energetici finali (la Francia produce il 78% dell'energia elettrica dal nucleare, ma importa più petrolio di noi). La potenza elettrica installata in Italia (88.300 MegaWatt, 2006) coprirebbe abbondantemente la domanda (55.500 MW). Perché allora importiamo elettricità dalla Francia? Perché un sistema basato sul nucleare è molto rigido, le centrali nucleari non sono molto modulabili, la Francia deve quindi avere una potenza di base capace di coprire i picchi delle variazioni giornaliere della domanda, per cui quando questa è minima produce energia elettrica in eccesso, che è costretta a vendere a prezzi stracciati (ma per picchi eccezionali della domanda deve comprare energia, molto cara: per affrontare l'ondata di freddo di questo inverno, ad esempio, ha importato energia dalla Germania).
Ma se fosse vero che abbiamo tanto bisogno di energia elettrica, qualcosa ci insegna la Spagna, che in un anno ha installato ben 3.500 MegaWatt di energia eolica, equivalente a più delle due centrali che Berlusconi vorrebbe avere dopo il 2020. Con quali costi per l'Italia? Due reattori Epr di questo tipo sono già in costruzione in Europa, uno in Finlandia da alcuni anni, e uno in Francia da circa un anno e mezzo. Il reattore finlandese ha già accumulato un paio di anni di ritardo, e un aumento dei costi di circa 2 miliardi di euro. Ma interessante è il perché. Il nucleare richiede livelli tecnologici molto superiori alle altre tecnologie (qualità del cemento, delle saldature, dell'acciaio) e le industrie coinvolte nella costruzione si sono rivelate non all'altezza, sia in Finlandia sia in Francia, che è il paese che conserva maggiore esperienza nel settore: vi immaginate cosa accadrebbe in Italia, dove Italcementi ha fornito cemento fasullo per le grandi opere? La costruzione dell'eolico in Spagna sicuramente è costata molto meno, e ha coinvolto l'industria nazionale, con notevoli benefici.
Il 12 maggio 2008 il Wall Street Journal denunciava che l'aumento dei costi previsti per le centrali nucleari «sta causando qualche shock imbarazzante: da 5 miliardi di dollari a 12 miliardi per un impianto, fra il doppio e il quadruplo delle prime stime».
Dopo il referendum (a prescindere da qualsiasi giudizio) l'Italia ha smantellato tutte le competenze che si erano accumulate: oggi Enea ed Enel hanno poco personale dipendente esperto nel nucleare, e in gran parte è prossimo alla pensione. E il resto è costituito da personale a contratto a tempo determinato. Ricostituire le competenze e le strutture necessarie richiederebbe 15 anni, mentre il governo sta smantellando dell'Università e della ricerca pubbliche.
Se inizieranno gli appalti per una centrale in Italia, con i meccanismi del «project financing» all'italiana, sarà un enorme affare per le solite imprese coinvolte nella grandi opere, ma non sarà certo un affare per la collettività: e se non vedrà la fine, il suo scopo sarà raggiunto. Un altro ponte sullo Sretto.

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