
Sciopero generale del 13 febbraio, «Protagonisti i precari»
di Fabio Sebastiani
su Liberazione del 10/02/2009
Fp-Cgil: «Fuori in 120mila nel giro di un anno»
Non è un vero e proprio sciopero generale ma, piazzato com'è venerdì prossimo, quando a Roma caleranno decine di migliaia di lavoratori del pubblico impiego e di tute blu, rafforza sembra ombra di dubbio la protesta. Ad incrociare le braccia saranno gli addetti del trasporto pubblico della capitale. Fit, Filt e Uilltrasporti hanno dichiarato quattro ore di astensione dal lavoro, dalle 8.30 alle 12.30. Giusto il tempo, quindi, di raggiungere il concentramento del corteo e completare il percorso fino a piazza San Giovanni.
La precarietà è sicuramente tra i temi emergenti dell'iniziativa del 13 febbraio.
Il 30 giugno il primo contingente di circa sessantamila "atipici" potrebbe essere espulsa dalla pubblica amministrazione.
La piattaforma dello sciopero chiede la stabilizzazione dei contratti a tempo e, per quanto riguarda il settore privato, anche l'estensione immediata degli ammortizzatori sociali.
A dire la verità, non è possibile stabilire con esattezza quanti siano i precari nella pubblica amministrazione. Alcune stime parlano di circa 120milma adetti tra interinali e co. co. co, mentre i contratti a tempo determinato potrebbero ammontare a circa sessantamila. Se il Governo dovesse procedere così come ha dichiarato, in un anno 120mila atipici potrebbero ritrovarsi fuori.
In realtà, l'unico elemento che impedisce questa sorta di "pulizia etnica", come spiegano gli esperti, è il blocco del turn over. Pena il blocco totale di molti servizi, come nella sanità e negli enti locali, dove il numero dei precari è quattro volte quello dei ministeri, le amministrazioni saranno costrette a rinnovare diversi contratti precari, anche se, grazie alla legge, ciò non attribuirà alcun. «Anzi, a quel punto - sottolinea Gianguido Santucci, della Fp-Cgil - assisteremo ad una vera e propria precarietà istituzionalizzatta».
«La lotta alla precarietà per noi non è soltanto il riconscimento di un diritto dei lavoratori - sottolinea Mauro Beschi, segretario nazionale della Fp-Cgil con delega sul mercato del lavoro - è anche una modalità per difenedere il ruolo del serivizio pubblico. Con l'espulsione dei precari non c'è dubbio che ci sarà una caduta della qualità delle prestazione. La maggior parte di loro svolge funzioni stabili e strutturali». Il blocco delle assunzioni ha portato le amministrazioni ad un uso massiccio degli atipici. Proprio a Roma Alemano ha fatto 2.800 assunzioni perché altrimenti avrebbe dovuto chiudere la metà dei servizi per l'infanzia.
«Espellere i precari è uno spreco economico - agguinge Beschi - perché i precari sono stati formati dalla pubblica amministrazione. Lasciarli a casa vuol dire che o non si vogliono più erogare quei servizi oppure prendere altri precari che a questo punto doverebbero essere formati di nuovo. Infine, la maggior parte di queste persone è giovane. Siccome tutti parlano dell'esigenza di svecchiare, è del tutto evidente che di fronte a una situazione molto particolare che si creerà in questi anni con la riduzione programmata di personale
Il Governo al di là delle dichiarazioni ha come obiettivo lo smantellamento del servizio pubblico». Il memorandum sul lavoro pubblico del 2007 consentiva a tutte le amministrazioni di poter aprire un percorso di superamento della precarietà attraverso un confronto che partiva anche dal mettere in efficienza la pubblica amministrazione. «Ma questo memorandum - conclude Beschi - è stato ignorato sia dal centrodestra che dal centrosinistra».
Virginia, precaria della pubblica amministrazione, ha lasciato la sua testimonianza sul web (www.unitanticrisi.it).
«Il vero problema è che chi è relativamente giovane (30-40 anni oggi) non ha mai iniziato a lavorare a 20 anni. Io personalmente ho contributi a partire dai 30, il che, se ho fatto bene i conti, significa che andrò in pensione a 64 con circa 700 euro al mese. La mia non è una situazione anomala, al contrario: è la regola. Allora di quale libertà di scelta si parla? La lotta per il pensionamento intorno ai 58-60 anni riguarda solo le colleghe più vecchie (che avranno peraltro pensioni maggiori delle nostre). Questo fatto sta creando nei luoghi di lavoro una situazione di imbarazzo fra categorie di lavoratrici che potrebbe sfociare in una vera frattura generazionale.
Brutto a dirsi, è già ampiamente diffusa la sensazione che noi "giovani" lavoreremo infinitamente di più dei nostri predecessori. In realtà, già lo facciamo a causa degli incredibili mutamenti nel mondo del lavoro che distribuisce mansioni a cascata su un numero sempre più esiguo di persone. Niente di lontanamente paragonabile a come si lavorava 20 anni fa, almeno nel settore pubblico (e questo, anche per esplicita ammissione delle colleghe più anziane). Inoltre oggi a nostro carico sono la formazione, l'aggiornamento, l'obbligo alla creatività e all'innovazione in strutture non sempre pronte a riconoscere tutto questo».
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