
Scatta la tregua, ma senza ritiro
di Michele Giorgio
su Il Manifesto del 18/01/2009
Israele annuncia un cessate il fuoco unilaterale, senza intesa con il governo islamista di Gaza. Sono 1.205 i palestinesi uccisi. Oggi vertice a Sharm el Sheik: Washington e Tel Aviv vogliono sancire la nascita di un contingente internazionale per isolare la Striscia. C'è l'ok di Francia, Germania e Gran Bretagna
Un cessate il fuoco, definito da qualcuno «a mano armata», messo sul tavolo unilateralmente da Israele e non riconosciuto da Hamas, dalle ore 01 di domenica ha messo fine (forse), almeno per il momento, all'operazione «Piombo Fuso» contro Gaza, dopo 22 giorni di combattimenti e più di 1.200 morti palestinesi. Il gabinetto di sicurezza israeliano si è riunito dopo il tramonto: in tarda serata il premier Olmert ha annunciato in una conferenza stampa la decisione di sospendere l'attacco in quanto vi sono a suo giudizio «le condizioni per una svolta». Ha detto Olmert che Hamas ha subito un duro colpo e che gli obiettivi prefissati sono stati «realizzati e perfino superati».
Una sospensione delle ostilità senza ritiro immediato delle truppe di occupazione che Hamas, con le dichiarazioni di alcuni dei suoi leader, ha respinto totalmente, avvertendo che continuerà a combattere sino a quando gli israeliani non lasceranno la Striscia e terminerà l'embargo.
Israele non rinuncia ad agire militarmente, ma ora punta soprattutto all'isolamento politico di Hamas e oggi cercherà di raccogliere il massimo dei risultati dal vertice internazionale a Sharm el Sheikh, al quale prenderanno parte oltre al padrone di casa Hosni Mubarak, anche il segretario generale dell'Onu Ban Ki moon, il segretario di stato Condoleezza Rice alla sua ultima uscita internazionale, il segretario della Lega araba Amr Musa e i leader di Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Russia e Turchia. Ci sarà anche Silvio Berlusconi, invitato non tanto come premier - il peso del governo italiano nella crisi mediorientale è vicino allo zero - ma in quanto presidente di turno del G8. Anche Berlusconi, assieme ad altri leader europei, dopo Sharm passerà qualche ora a Gerusalemme, dove incontrerà il premier israeliano Olmert che attenderà a casa gli esiti del vertice. Nel Sinai invece non ci sarà il presidente palestinese Abu Mazen, al quale qualcuno ha saggiamente consigliato di rinunciare al banchetto dei vincitori mentre a Gaza si piange di dolore. Il summit non sarà solo una cerimonia in riva al Mar Rosso, perché nelle intenzioni di israeliani e americani dovrà sancire la nascita di una forza di interposizione lungo il confine tra Egitto e Gaza per tenere chiusi i tunnel verso la Striscia, attraverso i quali però non passano (o meglio, passavano) solo le armi per Hamas ma anche prodotti di ogni genere che hanno aiutato la popolazione civile durante gli ultimi mesi di durissimo embargo israeliano.
L'incontro celebrerà l'accordo di sicurezza raggiunto da Israele e Usa due giorni fa - al quale però l'Egitto dice non si sentirsi vincolato - che in futuro potrebbe prevedere anche l'impiego di una flotta della Nato per il controllo dei mari al largo di Gaza e nel Mar Rosso. Ieri la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier britannico Gordon Brown e altri leader europei hanno inviato una lettera a Mubarak e a Olmert, dicendosi pronti a prendere delle misure concrete per fermare il contrabbando di armi verso Gaza. I risultati ottenuti da Israele, sul piano politico e militare, sono enormi eppure il gruppo dirigente del movimento islamico, a cominciare dal suo leader in esilio Khaled Mashaal, non avevano in alcun modo previsto questo scenario che il governo Olment e i comandi militari hanno preparato con cura per mesi, aspettando l'occasione buona, poi offerta su di un piatto d'argento da Hamas. La proclamazione della tregua unilaterale, peraltro, non obbliga Israele ad aprire i valichi con Gaza come Hamas ha cercato, invano, di ottenere al tavolo delle trattative al Cairo. La morsa sugli abitanti di Gaza non si allenterà, anche perché l'Egitto riaprirà il transito di Rafah solo sulla base dell'accordo del 2005 (successivo all'evacuazione di soldati e coloni israeliani dalla Striscia) che prevede, oltre alla presenza nel terminal di frontiera di osservatori europei, anche quella della guardia presidenziale dell'Anp che difficilmente potrà concretizzarsi senza il via libera di Hamas.
Il movimento islamico, ribadendo la legittimità del suo governo, vuole presenti a Rafah anche i suoi agenti e non accetterà passivamente, come ha messo in chiaro ieri, lo scenario che si sta materializzando. Intanto il vicino Egitto comincia a sentire in parte la responsabilità di aver contribuito attivamente a questi progetti. Per questo Mubarak ha voluto una massiccia presenza internazionale al summit di Sharm el Sheikh, per diluire la sua collaborazione allo strangolamento di Gaza. Il presidente egiziano ieri aveva chiesto a Israele di cessate il fuoco «immediatamente» e «senza condizioni» e di ritirare le sue truppe da Gaza, in modo da anticipare la proclamazione unilaterale della tregua.
Poi, per prendere le distanze dalla decisione di Tel Aviv di rinunciare ad una soluzione negoziata con Hamas, il ministro degli esteri Ahmed Abul Gheit ha accusato Israele di essere il principale ostacolo agli «sforzi egiziani» nonché «un paese ubriaco di potere e violenza».
Anche nel giorno dell'annuncio della tregua unilaterale, l'aviazione israeliana ha bombardato Gaza. A Beit Lahiya sei persone sono morte in un raid che ha colpito un altro edificio scolastico dell'Onu, utilizzato come rifugio da 1.600 sfollati palestinesi. Non è la prima volta che vengono colpite scuole delle Nazioni Unite - a Jabaliya vennero uccise una decina di giorni fa oltre 40 persone - e a metà settimana colpi di cannone hanno centrato e incendiato un magazzino nel quartier generale dell'Unrwa, l'agenzia che assiste i profughi. Alle proteste dell'Onu ieri un portavoce militare ha replicato che l'esercito ha sempre risposto al fuoco di miliziani di Hamas e ricordato i lanci di razzi di Hamas avvenuti anche ieri verso il sud dello Stato ebraico. Ieri i morti palestinesi sono stati 13, quasi tutti civili, e il bilancio totale è salito a 1.205, tra i quali 400 bambini e adolescenti, 113 anziani, 108 donne e cinque cittadini stranieri.
Da Gaza è giunto un nuovo appello di padre Manuel, parroco dei circa 250 palestinesi cattolici. «Le nazioni cristiane devono impedire questo massacro che si sta perpetrando a Gaza. Noi siamo terrorizzati, siamo privati di tutto».
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Gaza - Fermiamo il massacro
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