Sabra e Chatila. Memoria di Israele

08.01.2009 14:03

Sabra e Chatila. Memoria di Israele

di Guido Caldiron

su Liberazione del 08/01/2009

«La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche».
Il reportage di Loren Jankins, comparso sul Washington Post del 20 settembre del 1982 raccontava con queste parole il massacro avvenuto nei giorni precedenti in uno dei due campi profughi palestinesi di Beirut: una delle pagine più terribili della lunga serie di tragedie che hanno scandito il Novecento del Medioriente.
Nell'estate del 1982 l'esercito israeliano dà il via alla cosiddetta operazione "Pace in Galilea" con l'obiettivo di eliminare le infrastrutture dell'Olp in Libano. Dopo un lungo assedio di Beirut si arriva a un accordo per il trasferimento dei militanti palestinesi a Tunisi, ma l'uccisione del presidente libanese Beshir Gemayel, cristiano maronita alleato di Israele, fa nuovamente precipitare le cose. La sera del 16 settembre del 1982, dopo che i militari israeliani, entrati in città, si sono assicurati il controllo dei quartieri di Beirut Ovest dove sorgano i due enormi campi di Sabra e Shatila che ospitano migliaia di palestinesi con le loro famiglie, i membri delle milizie cristiane falangiste e del cosiddetto "Esercito del Libano Sud", composto interamente da cristiani e finanziato da Israele per presidiare il confine meridionale israelo-libanese, entrano nei campi e danno inizio a una vera caccia all'uomo. L'esercito israeliano aveva chiuso ermeticamente i campi profughi e messo posti di osservazione sui tetti degli edifici vicini da cui le notti del massacro di Beirut saranno illuminate dai razzi di segnalazione. Quando i falangisti lasciano i campi, dopo due giorni di strage, il numero esatto dei morti non è ancora chiaro. Il procuratore capo dell'esercito libanese in un'indagine condotta sul massacro, parlerà più tardi di 460 morti, la stima dei servizi segreti israeliani arriva a ottocento, ma molti osservatori stimano in tremila il numero totale delle vittime: uomini, donne e bambini.
E' questa la storia terribile che Ari Folman, il regista israeliano che all'epoca dei fatti era tra i soldati di Tshal impegnati nell'invasione del Libano ma che non fu coinvolto direttamente nel dramma dei campi, ha deciso di raccontare oggi. Lo ha fatto con un film di animazione Valzer con Bashir , che sarà da domani nelle sale italiane - e che Rizzoli/Lizard propone anche nella versione a fumetti (firmata da Folman e dal disegnatore David Polonsky, art director dell'animazione del film) con il titolo di Valzer con Bashir. Una storia di guerra (pp. 144, euro 18,00), e che aveva già destato molta attenzione al Festival di Cannes. L'intera vicenda è raccontata con un tratto chiaro, pulito, che lascia poco spazio all'immaginazione ma che negli ultimi secondi del film apre direttamente anche alla terribile realtà delle crude immagini di un documentario che mostra le vittime di Sabra e Chatila, «perché nessuno potesse uscire dal cinema pensando di poter dire "Che bel cartone animato che ho visto"», ha sottolineato il regista.
Proprio la scelta dell'animazione, Folman ha diretto e sceneggiato in passato film e fiction televisive, sembra rimandare alla cifra quasi terapeutica che questa storia ha per la memoria della società israeliana. E' come ripercorrendo lo spazio della propria infanzia, un tempo lontano ma fondamentale però da decifrare se si vuole avanzare nella consapevolezza di sé, che il regista ritorna su una tragedia che lo ha fin qui traumatizzato. «Un viaggio per cercare di ricostruire un avvenimento traumatico del passato è come un impegno ad affrontare una lunga terapia - ha spiegato Folman che ha presentato ieri il suo film alla Casa del Cinema di Roma - La mia terapia è durata quanto la produzione di Valzer con Bashir : quattro anni. Da questo punto di vista la storia narra la mia esperienza. Racconta quello che ho passato dal momento in cui mi sono reso conto che alcune grosse parti della mia vita erano completamente sparite dalla mia memoria. Perciò credo di poter dire di aver affrontato un grosso sconvolgimento psicologico durante i quattro anni in cui ho lavorato al film».
La scelta di Folman esprime il profondo trauma che il massacro di Sabra e Chatila ha prodotto in molti israeliani. Centinaia di migliaia di persone manifestarono contro le autorità militari dell'epoca, chiedendo la destituzione del Ministro della Difesa Ariel Sharon (che rimase però nel governo come Ministro senza portafoglio) e del capo di Stato Maggiore dell'esercito di Gerusalemme, il generale Rafael Eytan, considerati "indirettamente" responsabili da un'apposita commissione di inchiesta israeliana, la Commissione Kahan, istituita all'indomani dei fatti. Perché, come ha scritto anche il fondatore del Nouvel Observateur Jean Daniel in La guerra e la pace (Baldini Castoldi Dalai), le sue cronache di cinquant'anni di conflitto tra israeliani e palestinesi, pubblicate nel 2003, quella di Sabra e Chatila è forse la pagina più drammatica della storia dello Stato di Israele. «Il generale Sharon, ministro della Difesa - racconta infatti Daniel - ha dichiarato di essersi assunto la responsabilità di fare entrare nei campi di Sabra e Chatila i falangisti incaricati di individuare un certo numero di palestinesi armati che vi si erano rifugiati. Su ciò che, per trentasei ore, hanno fatto i falangisti all'interno di quelle mura di cinta chiuse, il generale Sharon non vuole dilungarsi: ragion di Stato. Una commissione d'inchiesta sollecitata dal presidente della Repubblica israeliana, due ministri e quarantadue deputati - cosa che fa loro onore - viene rifiutata alla Knesset da quarantotto deputati: ragion di Stato». Di fronte alle domande inevase resta il trauma di chi si è scoperto complice di un massacro bestiale. «Credo che ci siano migliaia di ex soldati israeliani - ha infatti spiegato Folman - che hanno tenuto i loro ricordi ben sepolti nella memoria. Potrebbero vivere per il resto della vita così, senza che succeda nulla. Ma potrebbe anche accadere che un giorno improvvisamente dentro di loro tutto esploda, e allora potrebbe succedere chissà che cosa. In questo consistono i disordini da stress post-traumatico».
All'uomo che ha scelto di guardare in faccia quel terribile passato, non resta però che rivolgere lo sguardo al nuovo capitolo di morte che si sta scrivendo in questi giorni. «Cosa penso di ciò che sta accadendo a Gaza? - risponde Ari Folman - Personalmente, e forse proprio perché ho fatto il soldato e ho dovuto combattere, sono un sostenitore della non-violenza. Sono però consapevole di appartenere a una minoranza. Nel caso di quanto sta accadendo a Gaza posso dire che mi sembra che da nessuna delle due parti si sia cercato di fare nulla per evitare che si arrivasse a un nuovo conflitto. Sono assolutamente critico verso il governo israeliano ma non posso dire che dall'altra parte siano venuti segnali per allontanare l'ipotesi militare. Il problema è che però, ancora una volta, a pagare il prezzo più alto sono i civili. Non capisco come i politici possano mettere tranquillamente nel conto centinaia o migliaia di morti come se niente fosse... ma dov'è la loro umanità. Se ne hanno una».

Cerca nel sito

Contatti

Paritito della Rifondazione Comunista - Circolo Karl Marx Jesi Via Giacomo Acqua 3 TEL-FAX 0731-56776
Crea un sito internet gratis Webnode