
Piombo fuso nella città deserta. «Resteremo il tempo necessario»
di Ron Ben Yishai *
su Liberazione del 17/01/2009
Il reportage "embedded" del quotidiano israeliano Yediot Aharonot
La calma che ha regnato per gran parte del giorno a Gaza inquieta non poco il colonnello Ilan Malka, capo di stato maggiore della brigata di fanteria Givati. «Dovete prepararvi tutti a sventare un tentativo di rapimento, ma bisogna anche rivedere le procedure in caso di attacchi suicidi contro le nostre forze», spiega durante il briefing quotidiano. «Una volta preso il controllo del territorio, Hamas è scomparsa, ma sono convinto che i suoi membri sono ancora qui, da qualche parte sotto terra o nei loro nascondigli....proveranno a rapire qualche soldato»
Non vuole avere brutte sorprese il colonnello Malka. E' molto fiero delle prodezze della sua brigata che, in qualche ora appena, ha spezzato le linee difensive di Hamas e preso il controllo di un territorio fortificato, pieno di trappole e di gallerie sotterranee.
Ci siamo fermati nell'atrio di un garage. Il nostro blindato va a marcia indietro e sfiora il muro, anzi, un buco nel muro nel quale veniamo inghiottiti. I soldati hanno conquistato il quartiere passando per questi buchi scavati nei muri che circondano ogni casa; si proteggono così dal tiro dei cecchini e dalle trappole piazzate in prossimità dei palazzi. con noi ci sono molti riservisti dell'esercito israeliano: «Non riuscirei a stare a casa mentre i miei compagni stanno combattendo», spiega Omri andando incontro al luogotenente-colonnello Ofer Lévy, comandante di brigata. Nella cucina dell'appartamento i resti di un pasto abbandonato: come altri mille abitanti del sobborgo, i propietari della casa sono fuggiti in fretta e furia dopo aver ricevuto gli avvertimenti di Tsahal.
Ofer Lévy ci dice che gli uomini di Hamas sono stati così colti di sorpresa che hanno abbandonati diversi chili di esplosivi. intanto i soldati scoprono nuovi tunnel sotterranei. Un ufficiale arriva e racconta tutto eccitato che i buldozer hanno spianato una galleria piena di container. Raggiungiamo un altro ufficiale che vuole ispezionare un tunnel situato in una zona molto pericolosa. I militari puntano le armi verso i piani superiori. Hamas sembra scomparsa, ma sanno che i miliziani potrebbero apparire ad ogni istante per sorprenderli. Incontriamo una famiglia palestinese assemblata lungo le scale; nonni, genitori, bambini e un neonato sono seduti su un tappeto, le gambe nascoste da una coperta e due soladati armati che li sorvegliano: »Cosa farete di loro?», chiediamo a un ufficiale che risponde: «Niente, se vogliono andare via possono farlo, ma non hanno intenzione di abbandonare la propria casa». I membri della famiglia notano le nostre telecamere e i loro volti cambiano espressione: «Non abbiamo nulla da mangiare», dicono in arabo. Un giovane si alza in piedi e ci propone un'intervista in inglese.
Ma i soldati della brigata Givati ci tengono molto a non apparire come dei bruti che maltrattano gli innocenti. Perry ci mostra una scatola di pelati, delle bottiglie d'acqua e altre vivande ordinate con cura: «Ne abbiamo date una parte ai civili». Al piano superiore un tiratore scelto tiene d'occhio l'isolato attraverso una breccia nel muro. Questi buchi sono cicatrici che dureranno a lungo dopo la partenza delle truppe. Alcuni militari si raccolgono in preghiera prima di ispezionare un altro tunnel. In questa brigata, come nelle unità da combattimento dell'esercito in generale, ci sono molti soldati religiosi, ma anche diversi giovani coloni. Un tenente spiega quanto sia importante il sostegno delle retroguardie. Fieri delle proprie gesta, soldati e ufficiali sono convinti della necessità dell'attacco di terra, lo giudicano indispensabile per restaurare l'ordine a sud di Israele: «Ne abbiamo abbastanza di vedere degli israeliani colpiti dai razzi», sottolinea Perry carezzando un cane che si era avvicinato alle truppe.
Avanziamo nel tunnel appena scoperto. Ma l'ultima parte del tragitto è molto rischiosa. Il cunicolo è composto da un pozzo verticale che porta a una galleria sigillata con del cemento. Di sicuro contiene dell'esplosivo ed è pericoloso entrarci dentro. Il capo del battaglione prova a capire dove conduce la galleria: «Arriva fino a quella casa, stavo entrando ma poi ho lasciato perdere, era una trappola». Durante il "cessate-il fuoco umanitario" neanche un civile è apparso per la strada. I militari cercano in particolare le rampe di lancio dei razzi Qassam e dei missili Grad. Intanto i buldozer fanno la ronda per scoraggiare i palestinesi a collaborare con Hamas. Poco prima di lasciare la città chiedo al colonnello Malka quanto tempo resteranno a Gaza: «Fino a che ce ne sarà bisogno», ci risponde bruscamente.
* Yediot Aharonot
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Gaza - Fermiamo il massacro
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