
Per uscire dalla crisi: ridurre l'orario e reddito per tutti
di Sandro Padula
su Liberazione del 30/12/2008
Quattro decenni di piramidizzazione del debito capitalista e di new economy hanno avuto un impatto sociale negativo sulle condizioni di vita della classe lavoratrice. Oggi assistiamo ad una clamorosa inversione della tendenza alla riduzione della settimana lavorativa. Se nel secolo scorso le ore di lavoro settimanale si erano progressivamente ridotte, dalle 60-70 ore del 1860 alle 40 ore del 1960, oggi per riprodurre la vita sociale di 4 persone sono necessarie 80 e più ore di lavoro che, per giunta, non sono sufficienti neanche a riprodurre la vita di un nucleo di 3 persone.
Il "capitale fittizio", cioè quella enorme massa di diritti cartacei sulla ricchezza, ha giocato «una parte importante nella crisi del sistema complessivo almeno dagli anni 1960». Quando l'economia reale capitalistica ha grosse difficoltà di reinvestimento produttivo cerca di trovare denaro attraverso il capitale fittizio. Per intenderci, la Fiat negli anni '80 rastrellava molti soldi attraverso gli interessi ricavati dai buoni ordinari del tesoro che reinvestiva nell'economia reale. Il ricorso al capitale fittizio non è dunque una anomalia del sistema, ma un passaggio inaggirabile che però alla fine si rivela a sua volta una causa ulteriore di crisi.
È quanto spiega Loren Goldner nel suo Capitale fittizio e crisi del capitalismo (edizioni Ponsimor, pp 320, 17 euro). Militante americano, professore universitario e attento studioso di Marx, di cui fornisce una lettura eterodossa, e dei movimenti della classe lavoratrice di diversi paesi, Goldner analizza l'attuale sistema economico e finanziario internazionale aggiornando alcune idee di Rosa Luxemburg sul carattere vampiresco del sistema capitalistico, simile a quello che precedette e favorì l'egemonia della Gran Bretagna sul mercato mondiale.
La dollarizzazione e la finanziarizzazione dell'economia mondiale hanno ingenerato colossali piramidi di debiti, come quello degli Stati uniti che ammonta (calcolando debito federale, statale, locale, aziendale e personale) a 33 trilioni di dollari, pari a tre volte il Pil. Questo fenomeno si è riversato anche sui paesi in via di sviluppo che hanno visto le loro risorse saccheggiate da politiche antisociali e antiecologiche. Negli ultimi dieci anni i mutui ipotecari sono stati addirittura convertiti in una fonte di finanziamento per le spese più indispensabili dei salariati e dei ceti medio-bassi, colpiti dall'aumento delle disuguaglianze sociali. Ciò ha contribuito a far esplodere la crisi di solvibilità dei settori sociali già sfruttati. Gli Usa, che hanno fatto da battistrada a queste dinamiche, sono al tempo stesso diventati il paese più indebitato del mondo e una specie di fossile industriale.
Questa progressiva perdita dello "scettro imperiale" nordamericano, tuttavia secondo Goldner non affievolirà la disperata resistenza di quelle forze economiche e politiche che cercheranno di promuovere delle controtendenze per mantenere una qualche forma d'egemonia americana sul mondo, grazie anche ad una forza militare distribuita su scala planetaria, in modo aperto o coperto, in 110 paesi. Ne sono prova la «strategia geopolitica mirata a controllare i confini della Russia e della Cina», la forte presenza in Medio oriente delle Corporations che puntano a dominare i territori ancora estranei alla loro sfera di influenza e ricchi di materie prime. Gli Usa dominano ancora la maggior parte delle prime 200 Corporations del mondo ed hanno un grande peso «per mezzo di istituzioni internazionali quali l'Onu, il Fmi e la Banca mondiale, con le imposizioni - gli ultimi due - di programmi di aggiustamento strutturale a 100 paesi in via di sviluppo con l'effetto di provocare 60 e più fallimenti o quasi fallimenti di stati». Non è un caso se dopo la fine del sistema monetario internazionale a cambi fissi, avvenuta d'imperio il 15 agosto 1971, tutte le svalutazioni statunitensi del costo del denaro e quindi del dollaro hanno gravato sulle Banche centrali dei paesi che ancora insistono ad avere riserve monetarie in dollari. Di fronte a questa situazione - sostiene lo studioso americano - il XXI secolo sarà molto incerto e anche pericoloso se il declino egemonico degli Usa non verrà, per così dire, accompagnato da una rinascita delle lotte della classe lavoratrice a livello mondiale.
Lotte che, secondo Goldner, dovrebbero coalizzarsi attorno ad un programma minimo: abolizione della dittatura del dollaro e dei sovrabbondanti lavori socialmente inutili o nocivi; reddito minimo garantito su scala mondiale; riduzione dell'orario di lavoro quotidiano e settimanale (senza riduzioni dei redditi); ristrutturazione ecologica dell'economia e del rapporto città-campagna.
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