Massimo Scalia
Il crollo di una finanza internazionale completamente priva di regole e di una pur minima decenza ha evidenziato il trend generale che da anni era invalso. E cioè, un sempre maggior numero di imprenditori ha pensato di cancellare dal suo lessico le parole "rischio di impresa" e, affascinati dall'idea che si possa far denaro col denaro senza produrre un accidenti, ha giocato alla roulette dei mercati finanziari. Ora, nello sfascio attuale, con la crisi delle industrie e i milioni di posti di lavoro già persi in tutto il mondo, sembrerebbe quasi impossibile trovare un imprenditore che invece riscopra il gusto del rischio per avviare una produzione manifatturiera, il nucleare, che comporta investimenti di capitali colossali e un ritorno di benefici economici molto ritardato, non meno di dodici-tredici anni dopo l'entrata in esercizio delle centrali.
Quasi impossibile, ma Sarkozy c'è riuscito. L'accordo Francia-Italia sul nucleare è un colpo da maestro per far finanziare l'industria nucleare francese dallo mano pubblica italiana. Non basta. Sarkozy ha colto un altro obiettivo a favore dell'aggressiva industria transalpina, Areva, che cerca di piazzare il suo reattore Epr ed è disposta a fare carte false perché sia presentabile come un progetto europeo. Altri paesi della Ue si erano rifiutati, anche la Polonia, ma attraverso l'accordo con l'Italia ecco una mano di colore che rende più europeo l'Epr. Certo, poi nell'accordo si spreca qualche parola per la tecnologia americana, l'AP 1000, ci mancherebbe.
Questa subalternità totale fa sembrare quasi un successo l'operazione Alitalia, con Air France che entra "piccola" per inglobare nel giro di qualche anno la "compagnia di bandiera". Qui la resa è invece immediata.
A tentare di coprire questa miseria, il governo rimette su il disco delle fandonie: avevamo abbandonato il nucleare in nome del fanatismo ideologico, oggi si apre una nuova era con una tecnologia più sicura e più pulita, che fornirà al 2020 il 25% dell'energia elettrica. Fanatismo ideologico? L'indicazione di voto al referendum dell'87 fu una decisione ponderata delle segreterie dei maggiori partiti, dopo un decennio di arroventati dibattiti e di crescita di un forte movimento che già proponeva la via del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili contro il nucleare. Quei gruppi dirigenti erano al corrente del blocco di ogni ordinativo interno che il nucleare aveva subito negli Stati Uniti, già nove anni prima del referendum. Valeva la pena allora rischiare consenso per una scelta che solo due anni prima la rivista Forbes aveva denunciato come il più clamoroso fallimento commerciale dell'industria americana.
Più sicura e più pulita? I reattori di terza generazione, quali l'Epr o l'AP1000, sono una risposta tardiva e parziale all'incidente alla centrale nucleare di Three Miles Island, in Pennsylvania, che alla fine del marzo di trent'anni fa tenne in ansia tutto il mondo. Non ci fu contaminazione radioattiva significativa esterna alla centrale, ma i danni all'impianto vennero valutati in oltre due miliardi di dollari (d'allora). E come disse la commissione d'inchiesta, fu solo il caso e non l'intervento umano a evitare l'incidente catastrofico. Il problema è che o si ripensa ex novo alla fisica del reattore - come provò Carlo Rubbia all'inizio degli anni '90, ma senza seguito - o gli innegabili miglioramenti hanno un carattere puramente ingegneristico e non forniscono risposte soddisfacenti alle tre grandi questioni del ciclo nucleare: la proliferazione di armi atomiche, connessa all'uso dell'uranio 235; i rilasci radioattivi durante le normali condizioni di funzionamento della centrale; le scorie radioattive,dalla vita media di centinaia di migliaia quando non di milioni di anni.
Per la seconda questione (la contaminazione radioattiva di routine), l'evidenza di maggiori rischi ha portato a norme tecniche più restrittive. Ciò nonostante, i livelli di dose previsti scontano leucemie e tumori aggiuntivi per i lavoratori della centrale e per le popolazioni intorno, non a causa di incidenti ma per via del normale esercizio di produzione elettrica. Infine, il confinamento delle scorie che più preoccupano è ancora oggetto addirittura di ricerca fondamentale, con megaprogetti, come quelli basati sugli Ads (Accelerator Driven System) che incontrano difficoltà per i costi molto elevati.
Il 25% di energia elettrica, al 2020, dato dal nucleare? Qui c'è un aspetto ancor più truffaldino nel programma del governo. Il nucleare può fornire solo energia elettrica e l'energia elettrica rappresenta solo il 20% dei consumi complessivi. Facciamo due conti. Un 25% di nucleare, se lo si facesse per davvero, rappresenterebbe un misero 5% dei consumi totali: un apporto del tutto residuale. Ma tale sarebbe, nel programma del governo, anche quello delle fonti rinnovabili. Peccato che l'Ue chieda al 2020 che le rinnovabili ricoprano il 20% della totalità dei consumi di energia, non il 5%!
Il governo programma, insomma, di perdere quella competizione che vede in campo Germania, Gran Bretagna, la stessa Francia e pure la Cina. Per non parlare di Obama e di quella rivoluzione energetica promossa proprio dalla Ue con i tre 20%, che è la transizione da un modello a alta densità d'energia a uno sviluppo di fonti diffuse sul territorio. Un passo fondamentale verso una società sostenibile.
Liberazione 27/02/09
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