Non normalizziamo le speranze della Primavera '68

16.01.2009 14:05

Non normalizziamo le speranze della Primavera '68

di Luciana Castellina

su Il Manifesto del 16/01/2009

Se qualcuno pretendesse di parlare di una persona limitandosi a raccontare il suo funerale la cosa verrebbe ritenuta perlomeno bizzarra. E invece è proprio questo metodo che, col generale consenso di media e di storici, è stato adottato per parlare di Praga: molta enfasi sull'ingresso dei carri armati sovietici - evento certamente decisivo - ma neanche una parola su ciò che è stata la straordinaria stagione che - come ha recentemente ricordato Anthonin Lyehm, che dirigeva Lyterarny Listy ( il giornale più seguito all'epoca, un milione di lettori su 15 di abitanti ) - è durata almeno 10 anni. Da quando si dette il via ad una riforma che via via mutò nel profondo la società cecoslovacca.
Silenzio anche, sebbene ora ci si sia improvvisamente ricordati di Jan Palak, su quello che è stato il periodo della normalizzazione successiva all'invasione del patto di Varsavia, nel cui contesto è inserito il sacrificio del giovane praghese che - in significativa sintonia con il gesto dei bonzi vietnamiti - si dette fuoco sulla piazza San Venceslao. Perché quella fase fu forse persino peggiore dell'invasione. Alla fine infatti fu accettata anche da chi contro i carri armati aveva protestato: governi piegati alla cosiddetta real politik, e partiti di sinistra (non certo, in Italia, il solo Pci) che si disinteressarono di come la maggioranza dubceckiana del Pc cecoslovacco aveva reagito e della sorte politica degli esuli. Chi, fra l'altro, se non il solo Manifesto, pubblicò nei mesi successivi, le tesi di quel partito, che aveva tenuto subito dopo l'agosto il suo XIV congresso, clandestino, nelle officine Ckd presidiate dalle milizie operaie che ancora avevano potuto resistere? A noi le passò proprio Anthony Lyehm (e le tradusse Luciano Antonetti), ma non fummo certo i soli a poterne disporre. Fummo però i soli a pubblicarle. Il momento più duro della nostra polemica con il Pci che poi ci radiò non fu infatti nell'agosto del 1968, al momento dell'invasione di Praga, perché, sebbene limitatamente (ma sempre più vigorosamente della direzione dello Psiup) questo partito aveva protestato. Fu un anno dopo e proprio per la disattenzione alla drammatica normalizzazione intervenuta. Lo storico editoriale della rivista Il manifesto - «Praga è sola» - è non a caso del luglio 1969.
Questi vuoti storici, che accompagnano ora anche il ricordo di Jan Palach, vogliamo ricordarli non per toglierci la soddisfazione di rammentare che noi avevamo visto giusto e in tempo. È perché senza parlare di cosa fu la Primavera di Praga e poi la normalizzazione, si stravolge il senso degli avvenimenti. Innanzitutto che quel tentativo di riforma fu avviato e diretto da comunisti, e che loro furono poi le vittime principali della repressione. La normalizzazione fu accettata di fatto perché aiutava a far dimenticare il senso di quel tentativo di salvare l'esperienza comunista, che, ove fosse riuscito, sarebbe stato assai pericoloso per la Mosca di Breznev, ma anche per la destra di casa nostra. Per questo si preferisce parlare del suo funerale piuttosto che della sua vita; per questo non si racconta fino in fondo nemmeno il dopo invasione.
Ha detto ancora Liehm intervenendo in una tavola rotonda della Fondazione della Camera dei Deputati: «La Primavera cecoslovacca non è la prova dell'impossibilità di riformare il socialismo, al contrario. Si è cercato di preparare una società pluralistica, e questa era quella che oggi viene ironicamente chiamata "l'utopia della terza via". Io dico che a partire da Babilonia l'umanità è alla ricerca della terza strada. Questa è la storia dell'umanità». Il '68 praghese è stato messo in diretta connessione con l'89. Vale la pena ricordare le parole dette in proposito da Milan Kundera: «La primavera cecoslovacca è morta due volte: nell'agosto del '69 e nell'autunno dell''89». Perché non equivochiamo: non era la restaurazione di un capitalismo selvaggio che Dubcek e i suoi compagni volevano.

Cerca nel sito

Contatti

Paritito della Rifondazione Comunista - Circolo Karl Marx Jesi Via Giacomo Acqua 3 TEL-FAX 0731-56776