
«Noi Kurdi sotto le bombe e dimenticati da tutti»
di Stefano Galieni
su Liberazione del 21/01/2009
A colloquio con Mehmet Yuksel, Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia
Le armi non hanno mai smesso di tuonare in Kurdistan. Nel silenzio quasi assoluto della stampa internazionale le aree dei 4 paesi in cui è forte la presenza di un movimento di liberazione kurdo (Turchia, Iraq, Iran, e Siria) sono in una fase di guerra permanente che soprattutto nella zona fra Iraq e Turchia è classificata come ad alta intensità. L'anno passato ha visto il rafforzarsi, soprattutto in Turchia delle forze kurde e una situazione di crisi tanto in Iraq quanto in Iran. Il paese nevralgico resta la Turchia dove più forte è il timore dell'affermarsi di una questione politica kurda che potrebbe mettere in seria crisi il paese. Il governo di Erdogan è da una parte impegnato per rilanciare l'immagine del proprio paese come pronto per entrare in Europa (solo in questi giorni sono state approvate numerose leggi che dovrebbero, sulla carta, modificare lo standard di rispetto dei diritti umani), dall'altra continua a voler cercare una impossibile soluzione militare. Mehmet Yuksel, rappresentante dell'UIKI (Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia), cerca di darci un quadro generale di quanto si sta muovendo.
Proseguono dunque i bombardamenti in alcune aree kurde?
«Stanno bombardando il Kurdistan iracheno, nei villaggi sul monte Kandil, a zona di Lolan e Xakurke e a colpire sono i caccia turchi supportati dal fuoco di artiglieria iraniano. Di fatto le azioni militari non si sono mai interrotte, proseguono da anni. La Turchia quando si propone in Europa dice di lavorare per la pace, contemporaneamente continua la guerra. Ora poi la Turchia sta per divenire anche membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza ciò potrebbe offrire margini di manovra ancora maggiori».
Ma c'è una alleanza di fatto fra Iran e Turchia?
«Non solo, ci sono frequenti incontri fra i ministri dei governi iraniano iracheno turco e siriano che hanno all'ordine del giorno la questione kurda, vista soprattutto come questione militare. L'obiettivo è quello di spopolare le zone di confine fra i quattro paesi e farli divenire una zona cuscinetto, militarmente controllata. Il fatto che poi dicano che colpiscono basi guerrigliere del movimento di liberazione del Kurdistan del nord, è un pretesto per giustificare la distruzione di case e villaggi».
Non c'è nessuna opposizione da parte dei partiti del Kurdistan iracheno?
«Certamente, c'è stata anche una protesta fatta all'Onu perché la Turchia utilizza anche armi non convenzionali come le bombe a grappolo. Lo spopolamento della zona sta portando molte famiglie kurde a emigrare verso le città del nord iracheno Sulemanya, Herbin e questo altera anche gli equilibri in Iraq. I partiti kurdi dell'Iraq ci stanno aiutando e vogliono come noi una soluzione politica del conflitto ma debbono anche fare i conti che alcune città importanti irachene a maggioranza kurda non fanno ancora parte della provincia autonoma».
Ma c'è in campo anche una resistenza militare?
«Ed è importante che ci sia, ma quella che sta crescendo è la resistenza politica in Turchia. Nel 2008 ci sono stati molti scontri che hanno messo in difficoltà l'esercito turco. Col risultato che anche una parte dell'opinione pubblica ha cominciato a criticare le scelte dei militari, lasciando spazio alla politica. Il governo non ha abbandonato l'opzione militare, nell'ultimo incontro fra generali e governo si è deciso di diminuire infatti le operazioni terrestri e di intensificare quelle dell'aviazione anche acquistando aerei ed elicotteri nuovi. Poi è stato parzialmente sminato il confine turco siriano e circa 150 mila mine che vengono chiamate "nere" sono state invece posizionate sul confine iracheno».
Ufficialmente però il governo di Erdogan dice altro?
«Continua a dire che politicamente la "questione kurda" non esiste che si tratta solo di un problema militare. Il 29 marzo ci saranno le elezioni amministrative che il partito di governo è convinto di vincere anche nelle zone a prevalenza kurda. L'obiettivo è di far passare l'idea che ci siano soltanto problemi di ordine socio economico che il governo affronterà. Per il resto vogliono ridurre tutto alla necessità di sconfiggere il "terrorismo"».
Voi invece cosa vi aspettate da queste elezioni?
«Risultati migliori delle precedenti, ci presentiamo come partito kurdo (Dtp, partito democratico della società), sempre che non venga dichiarato fuorilegge prima del voto. Speriamo che non accada perché toglierebbe ogni legittimità alle elezioni. Se potremo presentarci siamo convinti di poter conquistare anche altri capoluoghi, almeno 2 o 3 in più rispetto ai 56 che già amministriamo. Il governo per poter ottenere i voti kurdi sta tentando di fare operazioni di propaganda. Un esempio è l'apertura di un canale kurdo nella rete televisiva statale».
In che senso è solo propaganda?
«Per avere una rete kurda ufficiale serve una modifica costituzionale che non c'è mai stata quindi la tv nasce senza una legge che la garantisca giuridicamente, potrebbe essere tranquillamente chiusa dopo le elezioni. Contemporaneamente si continuano a condannare le persone perché parlano in kurdo, per esempio il 27 dicembre la corte di appello ha confermato la condanna a 35 anni ad uno studente che aveva chiesto solo di poter studiare e laurearsi in kurdo».
Del resto è stata condannata ancora Leyla Zana per gli stessi motivi?
«Si a 10 anni, più due anni per altre ragioni. Il procuratore però ha fatto ricorso giudicando la pena troppo lieve e chiedendo 45 anni. Parliamo di una donna insignita del premio Sacharov a cui non è permesso di votare o di candidarsi a cariche pubbliche».
Quali sono oggi le condizioni del presidente Ocalan?
«E' ancora in isolamento totale nell'isola di Imrali, sono aumentate le pressioni fisiche nei suoi confronti. C'è un processo in corso presso la Corte di Strasburgo per il "diritto alla vita", 10 anni di isolamento sono considerati lesivi dei diritti fondamentali. Erdogan sta correndo ai ripari per evitare condanne e si stanno realizzando costruzioni per trasferire altri detenuti politici nel carcere di Imrali. Così non ci sarebbe più una condizione di isolamento».
A Istambul si terrà a fine marzo il Forum mondiale dell'acqua, come pensate di intervenire?
«Ci sarà un contro forum con la sinistra turca e kurda e in cui parteciperanno diverse organizzazioni internazionali. Vogliamo denunciare come, attraverso la costruzione di dighe e la privatizzazione dell'acqua si attuino politiche di spoliazione dei territori kurdi».
Come mai Erdogan ha avuto una reazione così dura nei confronti del governo israeliano dopo l'invasione di Gaza, tenendo conto dei rapporti fra i due paesi?
«L'invasione è avvenuta il giorno successivo ad un incontro di 6 ore fra i due premier. Forse si aspettava un attacco meno pesante, poi ha tentato di mediare, ma quando l'attacco si è mostrato per quello che era Erdogan ha cominciato a temere che la sua base elettorale islamica non lo avrebbe seguito. Ricordo che siamo in una fase preelettorale. Mandare militare turchi come forza di interposizione, come propone il premier, presuppone un accordo con Israele e la possibilità per la Turchia di avere un ruolo forte in Europa. Ma ha scarsa credibilità. Solo pochi giorni fa Israele ha venduto alla Turchia armamenti per 176 milioni di dollari. Comunque, al di là delle dichiarazioni di facciata, buona parte dell'opposizione e dell'opinione pubblica considera il governo complice della tragedia che si sta consumando in Palestina».
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