
Nel 2008 crescita zero per i salari. E solo grazie ai rinnovi contrattuali
di Roberto Farneti
su Liberazione del 03/02/2009
Dal 2002 al 2007 il potere d'acquisto dei salari si è ridotto di quasi 1900 euro (dati Ires Cgil). E se nel 2008 le retribuzioni da lavoro dipendente sono riuscite a tenere il passo del costo della vita, per lo meno quello ufficiale misurato dall'Istat, ciò è avvenuto solo grazie al concentrarsi nell'anno che si è da poco concluso del rinnovo di numerosi contratti e alle "una tantum" corrisposte dai datori di lavoro per via degli ormai consueti ritardi con cui gran parte dei contratti vengono rinnovati.
Sono gli stessi tecnici Istat a fornire la corretta chiave di lettura della rilevazione resa nota ieri, in base alla quale nel 2008 le retribuzioni contrattuali orarie avrebbero registrato un aumento medio del 3,5% rispetto all'anno precedente, mettendo a segno la variazione più alta dal 1997. Il tutto a fronte di una inflazione media pari al 3,3%. Nella corsa tra salari e costo della vita si certifica un sostanziale pareggio.
Trattasi però di partita "truccata". Perchè la stagione contrattuale 2008, evidenzia ancora l'Istat, è risultata «particolarmente intensa» sia in termini di contratti rinnovati sia di lavoratori interessati: si è infatti registrato il rinnovo di 36 contratti che hanno coinvolto più di 7,8 milioni di dipendenti, pari al 61,9% del totale del monte retributivo contrattuale.
Per eliminare dall'analisi i fattori contingenti, l'andamento delle retribuzioni andrebbe misurato su periodi più ampi, almeno di 4-5 anni. La citata ricerca dell'Ires Cgil ha quindi un significato maggiore, dal punto di vista statistico. Agostino Megale, segretario confederale Cgil, contesta che nel 2008 le retribuzioni siano cresciute. Il contratto nazionale «ha sì difeso il potere d'acquisto - osserva - ma i salari restano al palo», dal momento che «l'inflazione armonizzata europea ha segnato un 3,5% nel 2008 e le retribuzioni da contratto nazionale hanno registrato, sempre lo scorso anno, una crescita media pari al 3,5%». Il dirigente della Cgil inoltre ricorda che «restano da rinnovare 26 accordi, che fanno pressappoco un lavoratore su tre».
E in futuro le cose potrebbero andare peggio: «Con l'accordo separato sul nuovo modello contrattuale si prevede - afferma Megale - una riduzione programmata del potere d'acquisto dei salari a livello nazionale». Basta fare due conti: «Se nel 2008 si fosse applicata l'inflazione depurata dalla componente energetica, così come prevede l'accordo separato sulla riforma contrattuale del 22 gennaio scorso - ragiona il sindacalista - le retribuzioni sarebbero cresciute del 2,6%, cioè lo 0,9% in meno rispetto a quanto registrato dall'Istat. La perdita sarebbe stata pari mediamente a 211 euro, che, sommata alla mancata restituzione del fiscal drag, avrebbe comportato una perdita complessiva di 571 euro».
Per il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, i dati dell'Istat confermano almeno la validità «del vecchio modello contrattuale così come lo avevamo gestito negli ultimi anni, cioè assumendo gli aumenti sulla base dell'inflazione prevedibile e reale». E' questa la ragione per cui «quel modello andava adattato, non stravolto». Di parere opposto Luigi Angeletti, anche se la sua replica suona come una autodenuncia: «Il vecchio modello contrattuale - ammette il segretario della Uil - ha prodotto una riduzione dei salari e ha visto l'Italia collocarsi ai posti più bassi in Europa. Il nuovo modello è sicuramente migliore di quello che abbiamo rottamato». La scommessa della Uil - e della Cisl - riguarda le quote di produttività che potrebbero essere redistribuite ai lavoratori con l'estensione della contrattazione aziendale. Ma nell'accordo separato non c'è nulla che obblighi le imprese a sottoscrivere contratti integrativi. In cambio di niente, si riduce però il ruolo del contratto nazionale.
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di contrattazione e il contratto nazionale
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