
«Nazionalizzare le banche? Uno strumento a tempo»
di Bruno Perini
su Il Manifesto del 25/02/2009
A colloquio con l'economista Luigi Guiso: «Recessione e debito, due minacce»
«Perché le Borse continuano a seminare vittime? Perché i mercati non si fidano malgrado l'immissione di liquidità nel sistema e le diffuse nazionalizzazioni delle banche? Io credo che le ragioni siano almeno due: gli operatori stanno scontando in anticipo i riflessi che questa crisi finanziaria avrà sull'economia reale in termini di recessione e di tracollo dei bilanci delle imprese e delle banche. Da questo punto di vista dobbiamo prepararci a uno scenario davvero preoccupante. E poi il rischio più insidioso per gli operatori è che con gli interventi degli Stati nell'economia i bilanci pubblici esplodano come mai è avvenuto in passato». Luigi Guiso, economista, collaboratore della Voce.info, non è convinto che le nazionalizzazioni saranno lo Stato permanente del sistema finanziario mondiale. «Certo, nell'immediato non si poteva fare diversamente. Anzi se Paulson non avesse fatto il grave errore di far fallire la Lehman Brothers, forse la situazione non si sarebbe così deteriorata, però io non credo che il sistema finanziario mondiale resterà a lungo nelle mani del potere pubblico».
Eppure le nazionalizzazioni sono ormai all'ordine del giorno. Anche gli Stati Uniti si sono dovuti piegare a questa linea che sembrava fantasia qualche anno fa.
Non c'è dubbio che sia come dice lei. Io credo però che ci siano due modi di interpretare le nazionalizzazioni: una cosa è un intervento anche drastico per fermare la crisi economica, un altro è immaginare un sistema bancario permanentemente in mano pubblica. Guardi che non sto dicendo che non si dovevano fare. Anzi, era inevitabile. La nazionalizzazione è uno degli strumenti in mano allo Stato quando non vi è altra strada: far fallire una banca non è come far fallire un'impresa, le implicazioni di un fallimento di un istituto di credito sono molto più drammatiche, come ha dimostrato la Lehman Brothers, perché hanno un riflesso su tutto il sistema. Tuttavia io non penso che avverrà quello che è avvenuto dopo la crisi del '29 per esempio in Italia con la nascita dell'Iri e la nazionalizzazione delle tre Bin.
Ne è proprio convinto? Tenga conto che un anno fa se qualcuno avesse parlato di nazionalizzazioni negli Stati Uniti o in Germania delle principali banche d'investimento sarebbe stato preso per matto.
Non ne dubito. Ma la mia impressione però è che 50 anni non siano passati invano, dall'esperienza del passato si è capito che la proprietà pubblica nel credito non funziona. Di recente ho fatto un'indagine tra i cittadini americani: non si fidano delle banche e dei banchieri ma per il 65% sono contrari a una gestione pubblica del credito.
Non mi dica che i manager privati hanno fatto meglio. La crisi attuale è figlia di una gestione devastante del risparmio di milioni di persone fatta da manager e banchieri a dir poco spregiudicati.
Non voglio difendere i manager privati, responsabili di quello che è accaduto. Anzi sono convinto che senza una rigida regolamentazione non sarà possibile gestire il futuro della finanza. E dunque da questo punto di vista il ruolo dello Stato sarà decisivo. D'altronde, le schifezze vengono fuori proprio nei momenti di crisi. Non vorrei sembrarle cinico ma credo che la truffa sia per certi versi insopprimibile e sia al tempo stesso uno dei business dell'umanità.
Così però c'è il rischio che nessuno sia responsabile di quello che accade.
Io penso che le responsabilità maggiori stiano nell'organizzazione del sistema bancario moderno. Una volta il modello tipo era basato sulla separazione tra le funzioni bancarie: i clienti avevano un conto corrente e poi c'erano gli investimenti in titoli di Stato. Con il passaggio alla banca universale, il banchiere è diventato consulente del suo cliente e il conflitto d'interesse è aumentato a dismisura. Sono queste anomalie che andrebbero regolamentate.
E' come dire che bisognerebbe fare la rivoluzione. Spezzare il conflitto d'interesse significherebbe spezzare le logiche che hanno causato la crisi.
Credo che sia questo che dovrebbero o avrebbero dovuto fare gli organismi internazionali di controllo. Non è avvenuto, è vero. Ma allora bisognerebbe imparare dagli errori e mettere mano a quelle anomalie.
I mercati finanziari sembrano poco reattivi ai massicci interventi di liquidità. Anzi restano indefferenti anche alle privatizzazioni. Come mai?
I governi, immettendo liquidità nel sistema, non hanno commesso gli errori del '29 ma questo sembra non bastare. Perché? Ci sono due ordini di motivi a mio parere: da un lato gli operatori sono preoccupati dei riflessi che la crisi finanziaria sull'economia reale. A rischio ci sono i bilanci delle imprese e delle banche e dunque chi opera in Borsa sa che i fondamentali non saranno buoni. Dall'altra c'è il rischio che il debito pubblico esploda creando ulteriori danni all'economia.
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