
Muore di freddo un clochard in pieno centro a Genova
di Checchino Antonini
su Liberazione del 31/12/2008
Si chiamava Babu. «Era arrivato a Genova vent'anni fa, faceva il cameriere, aveva una casa. Era arrivato con tante speranze. Poi la perdita del lavoro, la depressione di non trovarne un altro. S'era lasciato andare. Ultimamente era spesso in compagnia di gente dello Sri Lanka, del Bangladesh o indiana, arrivata come lui, con le medesime speranze deluse».
Sono stati proprio loro ad avvertire i volontari che, di solito, gli portano panini, coperte, bevande calde. Li hanno chiamati per dire che non si svegliava, che l'avevano trovato morto.
Babu Raja, nepalese di 43 anni è morto ieri notte sotto i portici neoclassici del Carlo Felice, il teatro lirico di Genova a un passo da piazza De Ferrari. Da quel Palazzo Ducale nel cui bar aveva lavorato Babu. E' morto per strada nel salotto buono di una grande città europea del ventunesimo secolo. Quando il furgone dei necrofori se l'è portato via, i suoi amici hanno applaudito piangendo. A meno di cento metri, le autorità stavano tagliando il nastro della grande mostra dedicata a Fabrizio De André.
Ieri sera era freddo. La colonnina di mercurio s'è fermata sullo zero ma la tramontana aumentava la percezione del freddo. Di turno, in quella parte di città, a fare il giro tra gli ultimi, i volontari della
Parrocchia di S.Eusebio. Uno di loro racconta a Liberazione il dispiacere di ritrovarlo per strada, il dolore di saperlo morto. Babu alle dieci e trenta della sera già dormiva. Gli hanno lasciato qualcosa di caldo, un panino. Ma Raja aveva il diabete, vivere per strada fa male, aveva bisogno di cure.
«Ma è giusto che uno muoia di freddo in una città europea nel 2010?», si domanda il volontario, coetaneo di Babu.
Gli amici di Babu erano incazzati neri con i giornalisti che si accorgono di loro solo quando crepano. Accusavano i carabinieri e i netturbini che avrebbero tolto loro le coperte per cacciarli più lontano possibile dal tappeto rosso del Teatro dell'Opera. Ma l'Arma e l'azienda di nettezza urbana, l'Amiu, smentiranno a stretto giro di agenzie. Tursi, il municipio, spiega che, anzi, ci sarebbe un protocollo preciso per non rimuovere coperte e cartoni. Ma qualcuno, specie nei giorni di rappresentazione, sarebbe alquanto infastidito da quei fagotti umani che dormono vicini per resistere meglio al freddo, e dai resti delle loro esistenze.
E' un piccolo giallo, forse. «Ma forse serve a non porsi la domanda che facevo - ripete il volontario - come si fa a morire così in una città del genere?».
Eppure sembrava che Babu ce l'avesse fatta a lasciare la strada. per sei mesi aveva trovato un lavoro a Nervi. Aiuto cuoco nella mensa della parrocchia. «Le loro disgrazie le pagano a caro prezzo», continua il nostro interlocutore pensando ai
fatti sociali ma anche privati che portano certe persone fuori da uno «stile di vita normale». Babu l'ha pagata cara.
I volontari organizzati dai frati di S.Barnaba passano ogni quindici giorni, altri gruppi sono più frequenti. Un altro volontario, con cinque dei suoi cinquant'anni passati a fare servizio in strada, accetta di parlare con Liberazione . Dice che nemmeno dieci giorni fa è morto un altro ragazzo, ancora più giovane di Raja, probabilmente tossico. Dormiva in Piccapietra, a pochi passi dal Carlo Felice. «L'avevo visto tre giorni prima, stava male ma non era voluto andare in ospedale, così gli abbiamo dato una coperta in più». Della sua morte, il 17 dicembre, non ne ha parlato nessuno. L'assessora l'ha saputo dal cronista di Liberazione . «Ma c'è poco da fare - aggiunge il volontario - in questi casi non sono scelte, sono strade obbligate...». Anche l'idea del clochard romantico è funzionale a non farsi domande.
Babu viveva per strada da anni. «Ma in quei mesi passati a Nervi
sembrava un altro. Chissà perché è andata male?». C'è chi dice che se ne sia andato di sua volontà, chi sostiene che sia stato cacciato. Babu beveva, fegato roso dalla cirrosi e cieco da un occhio. Una volta l'avevano denunciato per usurpazione di titolo perché indossava una tuta mimetica con tanto di stellette e diceva di essere un generale. Non più di un mese fa i volontari l'hanno rincontrato per strada.
Proprio ieri sera, il volontario con cui abbiamo parlato ha dormito in un ricovero d'emergenza assieme a 28 ospiti, 4 le donne: C'era il tutto esaurito. Si chiama la Casetta e si trova nel quartiere di San Fruttuoso, alle spalle del muraglione della ferrovia che costeggia Via Tolemaide. Quando l'
emergenza si fa cruda, si stendono dei materassini per terra. «Io ero lì e lui era là - sospira il nostro interlocutore - sappiamo che non tutti verrebbero in un posto così. Ci vuole abilità anche per vivere ai margini. E Babu viveva ai margini dei margini. Quello del Carlo Felice, secondo gli addetti ai lavori, non è un vero gruppo, sono «persone che condividono uno spazio». Solo da poco c'è gente che dorme lì e anche nella lussuosa Galleria Mazzini adiacente sono tornati solo da qualche settimana.
Roberta Papi, assessora ai servizi sociali e sanitari di Tursi, di provenienza diessina, spiega come funziona la prima accoglienza: oltre la Casetta, c'è il Masoero, l'ospizio quattrocentesco al Porto Antico, 24 letti; poi l'Archivolto di S.Marcellino. 82 posti in tutto. La seconda accoglienza funziona per chi si impegna in percorsi di reinserimento. Ma i volontari fanno i conti: a Genova, quasi 700mila abitanti, i senza fissa dimora sono relativamente pochi, forse 400. Loro, che lavorano in rete con alcuni dipendenti del comune reperibili 24 ore su 24 e altri gruppi - Caritas, S.Egidio ecc... - che applicano approcci differenti, riescono ad arrivare a poco più di cento persone a notte. Due terzi di senza casa restano fuori, la metà è proprio invisibile. E' un problema complicato, a volte la promiscuità è più sgradita della strada ma l'assessora ammette che è poco. «Non è un caso che abbia deciso di attivare 34 posti in più al Masoero e c'è l'impegno a trovarne ulteriori. Il dramma vero è che i comuni sono lasciati da soli nell'affrontare queste emergenze sociali,è stato tagliato il fondo sociale, c'è l'incertezza dell'Ici, le politiche di welfare richiedono sforzi incredibili. Spendiamo già
6 milioni e mezzo, non sono pochi». «La scorsa settimana abbiamo parlato in giunta delle proteste di alcuni cittadini che ci hanno telefonato infastiditi per la presenza dei barboni all'ingresso del teatro - dichiara la sindaca Marta Vincenzi - gridavano allo scandalo perchè si consente a queste persone di sporcare il salotto buono della città. Non uno che ci abbia invitato ad aiutarli. Questa morte è quasi un segno».
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