
Milano contro il razzismo
di Giorgio Salvetti
su Il Manifesto del 22/02/2009
Trentamila in corteo con la Cgil per dire no alle leggi xenofobe sulla sicurezza. Per ricostruire la sinistra si può ripartire da questa piazza Duomo «Papà, ma com'è lungo questo corteo!», la bocca della verità è di una bambi
«Papà, ma com'è lungo questo corteo!», la bocca della verità è di una bambina biondissima. Da mezz'ora vede sfilare donne e uomini di mezzo mondo per tutto Corso Venezia. «Non lasciateci soli con questi italiani», si legge su un cartello. Sono gli italiani delle ronde e del decreto sicurezza, gli italiani che siedono in parlamento e quelli che si incontrano a cena, di destra, e sempre più spesso anche di sinistra. Quelli che non riescono a fare a meno di sentirsi minacciati dagli stranieri, perché rubano il lavoro e ci violentano le donne. Si chiama razzismo ma si preferisce parlare di sicurezza. E allora tutto è lecito, anche leggi xenofobe che permettono ai medici di denunciare chi non ha i documenti in regola, o il decreto cosidetto «antistupri» che legalizza le ronde e rinchiude degli esseri umani in un centro di detenzione senza che abbiano commesso alcun reato.
Ieri Milano ha mostrato che gli italiani sono anche altri. La manifestazione antirazzista e per la Costituzione indetta dalla Cgil Lombardia ha portato in piazza Duomo più di trentamila persone. Tanti stranieri, quasi tutti regolari e lavoratori, dietro gli striscioni delle Camere del lavoro di tutta la regione. Sono venuti per ricordare che: «Non siamo clandestini, siamo i nuovi cittadini». E tanti lombardi hanno dimostrato, come capita spesso, che la Lombardia non è solo Lega, e che le ronde, purtroppo, non sono solo padane.
Lo slogan del giorno è: «Io curo non denuncio». Funziona benissimo sia in versione striscione sia in versione adesivo. Lo portano appiccicato alla giacca i militanti della Cgil che ieri ha fatto le cose per bene e in grande. Sono venuti da tutte le province, Lecco, Bergamo, Sondrio, Pavia, Varese. Come sempre lo spezzone più numeroso e multietnico viene da Brescia, con tanto di furgoncino, musica araba e scritte in tutte le lingue. In testa apre il corteo un manifesto contro la violenza sulle donne, italiane e straniere, perché lo stupro è una questione di genere, non di passaporto. A fianco un uomo cingalese si è messo il vestito della festa, completo blu con tante penne luccicanti nel taschino. Porta la scritta: «Chi spaccia razzismo stupra la democrazia». Sfilano i pensionati, i lavoratori pubblici, la Fiom e i lavoratori della ricerca e dell'università. Ma la manifestazione non è solo fatta di militanti con la tessera in tasca. Il corteo si gonfia man mano che avanza verso il Duomo. In coda, una lunga coda, sfilano le associazioni che hanno contribuito alla convocazione della manifestazione. E' quella rete di movimenti che sta crescendo sotto il disatro delle forze politiche di sinistra. Retescuole e il Naga, l'associazione che da anni si impegna per il diritto alla salute degli stranieri, la Casa della carità, Emergency e l'Arci. Mancano solo i centri sociali, sempre troppo occupati a pensare a se stessi e preoccupati di finire in cortei «istituzionali» anche quando ci sono in ballo i più elementari diritti umani.
Ma qualcosa a Milano sta lentamente cambiando. Ogni sabato c'è una grande manifestazione: per gli spazi sociali, per la scuola, per Eluana, per Abba, il ragazzo nero ucciso a sprangate e ricordato anche ieri da molti striscioni. Mentre il Pd si sfalda e il Prc si è già sfaldato, i cittadini tentano di reagire in qualche modo, si uniscono, fanno rete, la città non era così in movimento da tempo e anche le forze politiche che ormai non hanno più nulla da perdere cominciano a tenerne conto. Ieri c'erano tante bandiere di Prc, Sinistra Critica, Pdci. Persino Pd, che pure in tema di sicurezza è più che dilaniato. Un distinto signore porta un cartello: «Io vado con la Cgil e contro il razzismo, Penati con le ronde della Lega e con Maroni». Quando si dice dove va la base. In piazza Duomo è già carnevale, il corteo calpesta un tappeto di coriandoli. Un bambino peruviano vestito da orsetto non capisce che è una manifestazione antirazzista, si sente italiano e basta: «Mamma, ma quanto è grande questa festa!».
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