La rivolta di Lampedusa

24.01.2009 13:27

di Stefano Liberti

su Il Manifesto del 24/01/2009

Gli abitanti si ribellano a Maroni. Quattromila in piazza, tensioni davanti al Cpa. Nell'isola è piena emergenza. Il governo annuncia l'avvio di un nuovo centro per immigrati in un'ex base Nato, 200 tunisini scappano dal centro sovraffollato, la cittadinanza scende in piazza e la Lega rischia di perdere il suo avamposto nel Mediterraneo. Nel mirino delle proteste il ministro Maroni

«Maroni ha affondato Lampedusa, Lampedusa affonderà Maroni». «Lampedusa ribellati o sarà la rovina». Sono circa in 4000 a gridare fuori dal Centro di prima accoglienza (Cpa). Uomini, donne, vecchi, bambini. Tutti hanno risposto a un appello che ha riunito in modo bipartisan anche ex avversari politici, oggi insieme per un obiettivo superiore: «Contrastare il piano diabolico di Maroni», come ripete con enfasi il sindaco Dino De Rubeis. Ossia, l'intenzione del ministero degli interni di aprire un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) sull'isola pelagia e procedere al rimpatrio degli irregolari direttamente da qui.
Il paese è in preda a un silenzio spettrale, complice anche la giornata di pioggia. Le saracinesche sono abbassate. La consegna di sciopero è stata rispettata al 100 per cento. La quasi totalità della popolazione si è spostata nella contrada Imbriacola, di fronte al centro. Fra i manifestanti anche circa 200 tunisini, che hanno scavalcato le recinzioni e si sono uniti alla protesta, senza capirne bene le motivazioni. Dentro, il Cpa si presenta come una specie di campo profughi. Materassi ovunque, tende di plastica nel cortile, letti nei corridoi dell'infermeria. Gente che dorme in terra o su panche improvvisate. In molti lamentano le scarse condizioni igieniche e il freddo. «Sono qui dal 26 dicembre. Mangiamo sempre le stesse cose», grida il tunisino Abderrahaman, mostrando il tesserino con quella data che gli è stato rilasciato il giorno dell'arrivo. «Sono arrivato da un mese, sono malato ma qui non mi curano in modo adeguato», gli fa eco Jonathan, venuto dall'est della Nigeria. I trattenuti sono divisi in due gruppi: da una parte, in un edificio più piccolo, i sub-sahariani; dall'altra, dietro un cancello protetto dai carabinieri, gli arabi (tunisini, egiziani, marocchini, algerini). Questi ultimi sono i più irruenti: quelli che non sono fuggiti in mattinata, intonano in coro il grido «libertà, libertà».
«Siamo in una situazione d'emergenza. Ieri c'erano 1840 persone, per una struttura con una capienza di 300 posti, che possono essere innalzati a 800 in caso d'emergenza», sostiene Cono Galipò, responsabile del Cpa. Colpa degli sbarchi invernali, ma anche con ogni probabilità di un ordine arrivato direttamente dal Viminale. Sospesi i ponti aerei per la Sicilia e il continente, gran parte dei trattenuti si ritrova a Lampedusa da un mese, se non di più. Contrariamente a quanto prevede lo statuto normale del centro, ossia una permanenza di 48-72 ore, oggi gli immigrati sono tenuti in custodia per periodi più lunghi. Quasi che si volesse fare una prova generale del "piano diabolico" di Maroni.
«L'emergenza di questi giorni è il frutto delle scelte politiche e del furore ideologico del governo, che ha deciso di cambiare le regole di funzionamento di questo centro, trattenendo gli immigrati per periodi spropositati», sottolinea il vice-segretario del Partito democratico Dario Franceschini, a capo di una delegazione giunta ieri in visita. Il sindaco De Rubeis applaude. E si scaglia contro il ministro degli interni, che pure era stato accolto con tutti gli onori quando, l'8 gennaio scorso, era venuto a sua volta sull'isola: «Maroni vuole fare di Lampedusa l'Alcatraz del Mediterraneo. Noi siamo contrari alle carceri a cielo aperto». La popolazione sembra tutta con lui, eccetto l'ex pasionaria dell'isola, quell'Angela Maraventano che dopo aver tuonato contro i centri per immigrati ed essersi fatta eleggere nelle liste della Lega nord si trova oggi a dover difendere un ministro che qui è ormai visto come il fumo negli occhi. Stretta tra due fuochi, la senatrice leghista - rimossa da De Rubeis dal suo incarico di vice- sindaco - è rimasta a Roma e per la prima volta non ha preso parte alle manifestazioni di cui è sempre stata promotrice.
La rivolta dell'isola pelagia non è nuova. Lampedusa non ha mai digerito il suo ruolo di "porta d'ingresso" dei flussi nel canale di Sicilia. Non ha mai visto di buon occhio quei "clandestini" che rovinano la sua immagine di paradiso turistico. Ha sempre respinto l'appellativo affibbiatole dai media di "isola degli sbarchi". Ma l'intenzione di Maroni - ribadita ieri in consiglio dei ministri, con l'annuncio dell'apertura del Cie alla base Loran della marina militare, dove per il momento sono stati trasferiti un'ottantina di donne e minori dal Cpa - segna un salto di qualità. Una struttura di trattenimento nuova o la trasformazione del centro di accoglienza in centro di espulsione vuol dire avere una popolazione di immigrati irregolari costantemente presente e per periodi lunghi sull'isola. E un rafforzamento dei dispositivi di sicurezza. «L'isola diventerebbe un carcere a cielo aperto e tutta l'industria turistica ne risentirebbe», evidenzia con preoccupazione il gestore di uno dei pochi alberghi aperti in questa stagione.
Dagli abitanti giunge un coro unanime: «No al nuovo lager». Le rivendicazioni sono quelle di sempre: lo stato è presente e in forze (centinaia di carabinieri, finanzieri, guardiacoste stazionano qui per l'emergenza sbarchi) ma solo per gli immigrati. Per il resto, i servizi sono carenti. Le scuole sono fatiscenti. Gli studenti costretti ai doppi turni, perché una scuola elementare è stata definita inagibile. L'ospedale è un presidio medico poco attrezzato, tanto che chi deve partorire deve andare a Palermo o Catania. Lampedusa si sente abbandonata dallo stato centrale e anche da quella Lega nord che ha votato in massa. «Roma questa volta non ci avrà. Resisteremo», grida un manifestante. Accanto a lui, una decina di ragazzi tunisini fuggiti dal centro osservano la scena. «Non è che poi ci rispediscono nel nostro paese?», chiede uno di loro. «No, ora vi mandano in Italia, sulla terraferma», risponde uno dalla folla, mostrando come la lotta anti-governo abbia partorito imprevedibili effetti collaterali, come questa bizzarra solidarietà tra i lampedusani e i loro ospiti una volta non troppo graditi.

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