La guerra vince le elezioni israeliane

12.02.2009 13:16

di Marco Sferini

su Lanterne rosse.it del 12/02/2009

Dopo la guerra di Gaza, dopo le campagne di dearabizzazione del territorio palestinese e dello stesso Israele in quanto Stato, la vittoria del blocco conservatore e di destra estrema alle elezioni della nuova knesset era un dato su cui pochissimi avrebbero scommesso contro.
Kadima, partito che si vuole definire di centro ma che ha tutte le caratteristiche per essere una formazione di destra, vince con la pasionaria bellica, con Tizpi Livni che strappa un solo seggio in più al Likud. E l'ago della bilancia per la formazione di un governo diventa quell' Avigdor Lieberman dallo sguardo indemoniato e dal programma politico che prevede lo Stato forte, duro e intransigente verso i palestinesi, verso tutto quello che li riguarda. Quotidiani progressisti e anche meno lo definiscono un fascista: poco tempo fa ebbe a dichiarare che con Hamas "dovremmo comportarci così come gli Usa fecero con giapponesi, dovremmo svilire la loro volontà di combatterci". In poche parole, disse Lieberman agli studenti dell'università di Bar-Illan, così Israele non dovrebbe più preoccuparsi di occupazioni di territori, di innalzamenti di muri, e così via.

Il partito che questo vero vincitore delle elezioni israeliane guida si chiama "Yisrael Beiteinu", ossia "Israele casa nostra". Ed il nome è tutto il suo programma. Infatti Lieberman sostiene a gran voce le espressioni nazionalistiche del kahanesimo secondo cui in Israele devono vivere esclusivamente gli ebrei e non anche gli arabo-israeliani.
Un moderno razzismo che poco ha a che fare col primordiale nucleo sionista nato in Francia ai tempi del "caso Dreyfuss", e che va oltre ogni possibile mediazione di convivenza tra arabi e israeliani e, inutile sottolinearlo, tra israeliani e palestinesi. La stabilizzazione del futuro governo su un piano politico caratterizzato esclusivamente da settori di destra estrema e destra pseudo-moderata non garantisce nulla di più che nuove vessazioni dirette verso Gaza e verso la Cisgiordania e non garantisce niente di meno se non l'avanzamento dei piani di ghettizzazione della popolazione della striscia distrutta dalle bombe, violentata nella sua infanzia, resa un cumulo di macerie e non più solamente un "territorio" blindato dai check point e controllato da un embargo totale.
I signori come Lieberman punteranno tutto il loro straordinario potenziale di equilibrismo politico, la loro funzione di essenzialità per la formazione e gestione di un governo proprio sulla riduzione del popolo palestinese in qualcosa di inerme, in una gestibile condizione di assoluta dipendenza da Israele per ogni aspetto della già tribolata e misera vita che c'è dietro al muro e a Gaza City.
In questo quadro desolante, l'insuccesso del Partito laburista di Ehud Barack non fa nemmeno notizia, non esprime nessun rilievo se non l'essere la controprova della svolta a destra dell'elettorato. Se poi i voti dei militari, che saranno scrutinati in queste ore, come è presumibile, rafforzeranno ancora di più le percentuali di Yisrael Beiteinu e del Likud, ma anche di Kadima, il destino dei palestinesi sarà legato ad una sola flebile speranza: che Barak Obama, con la sua amministrazione democratica, intenda impostare un dialogo con l'ANP che includa anche Hamas e che porti al riconoscimento di una unità nazionale palestinese, preludio solamente alla futura unità politica del popolo di Arafat.
L'altra strada per resistere alle strette securitarie, alla claustrofobica politica dei nazionalismi e dei fascismi marcati con la Stella di Davide, non potrà che essere una strada di contrapposizione fisica, fatta di quei corpi ancora vivi che sono pronti a dare ancora battaglia con una nuova intifada. Non credo si possa auspicare un cammino di esistenza per il popolo palestinese se non gli si avvicina anche una prospettiva di questo tipo che, purtroppo, rischia di tornare prepotentemente nella realtà quotidiana dei rapporti tra occupati e occupanti, tra presunzioni governative e richieste di una "autorità" che appare divisa, troppo corrotta, troppo vicina alle esigenze della geopolitica americana nella zona.
In fondo, gli eccessi portano sempre a soluzioni altrettanto eccessive: Hamas vince le elezioni perché dopo Arafat Fatah crolla sotto il fardello della corruttela e del simultaneo distacco dalle ragioni popolari; Lieberman, Livni e Netanyahu vincono a piene mani perché non esiste da parte del Partito laburista una alternativa anche moderata, non necessariamente "di sinistra" (men che meno comunista...), ai valori protezionistici e ipernazionalistici.
La paura domina sovrana e la destra con lei. La solidarietà e la prospettiva di una convivenza è sconfitta, e la sinistra israeliana segue questa ingloriosa sorte.

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