
La caccia al romeno
di Stefano Milani
su Il Manifesto del 17/02/2009
Per lo stupro nel parco romano della Caffarella identificati due romeni grazie al dna. Alemanno torna all'attacco e minaccia ancora una volta di sgomberare i campi rom. Ma è scontro sulle ronde
Conoscono tutto di loro: il nome, l'età, la nazionalità. Persino il volto. Immortalato nelle foto segnaletiche, scattate pochi mesi fa. Dunque due persone già note alle forze dell'ordine, due borderline che vivono ai margini della società. Due rumeni. Nessun dubbio: sono loro, sabato scorso, ad aver aggredito e stuprato una ragazza quattordicenne mentre era nel parco romano della Caffarella a festeggiare San Valentino col suo fidanzatino di due anni più grande. La polizia è sulle loro tracce, è questione di ore ripetono per tutta la giornata gli inquirenti. Ad incastrarli prove inconfutabili. Tracce biologiche rinvenute nel luogo della violenza, dna che non lascia adito a dubbi. Rafforzato dagli identikit, dettagliatissimi, forniti dai due poveri ragazzi.
Il fascicolo processuale aperto dal pm Vincenzo Barba, lo stesso che ha risolto il caso dello stupro di Capodanno avvenuto alla Fiera di Roma, passerà da «ignoti a noti». Ma stavolta, assicura il magistrato, una volta presi andranno dritti dritti dietro le sbarre. Le polemiche, suscitate dopo la concessione degli arresti domiciliari a Davide Franceschini che la notte del 31 dicembre scorso abusò sessualmente di una giovane ragazza conosciuta poco prima durante il concerto, non si sono ancora del tutto placate.
Così come gli animi dello scontro politico nella Capitale, dopo l'ennesimo episodio di violenza. Tutto già visto, tutto già sentito, ma tutto non ancora risolto. Col sindaco Alemanno che, puntuale, torna all'attacco rispolverando il ritornello della «tolleranza zero». Ne parla da mesi, da quando è stato eletto, ma adesso annuncia che «di fatto comincia oggi». «Per troppo tempo - dice - si è ignorato il problema delle baracche abusive e l'effetto è stato quello della creazione di questi micro insediamenti». Ecco trovati i colpevoli: i campi nomadi e i loro abitanti. Bisogna mandarli via. Dove? Non si sa. Si è partiti ieri dalla pineta di Castelfusano dove gli accampamenti abusivi sono 78. A fine giornata ne verranno abbattuti 28. Quelli più piccoli, composti da uno o due baracche con quattro o al massimo sei persone, rifugio per lo più di romeni e di qualche polacco. In quel "polmone verde" a due passi dal mare, nel dicembre scorso morirono una donna romena e il figlio di tre anni, avvolti dalle fiamme del fuoco che avevano acceso per riscaldarsi nella baracca dove vivevano.
Ma quella di ieri è stata un'intensa giornata di sgomberi in tutta Roma e dintorni. Da Dragona ad Acilia, da Casalotti a Settebagni, da Ladispoli e Civitavecchia. Antipasto di un'operazione molto più vasta che partirà tra qualche giorno, assicura Alemanno. Perché l'obiettivo, spiega il sindaco, è di «espellere quelli che non hanno diritto a stare nel nostro territorio e di mettere in campi regolari, vivibili e controllati, le persone che invece hanno il diritto di rimanere nel nostro territorio».
Linea dura del Campidoglio che non piace però alla Caritas. «C'è una forma di intolleranza verso l'immigrato» mentre «sulla sicurezza raramente si interviene con una vera conoscenza dei dati. Si dice: l'immigrazione è un fattore che incide direttamente sull'aumento della criminalità: questo è completamente sbagliato e non c'è uno studioso che lo dica» spiega Franco Pittau, responsabile immigrazione Caritas, dai microfoni di Radio Vaticana. E aggiunge: «Se veniamo al dunque ci vuole la repressione ma ci vuole anche la prevenzione» e vanno dunque valorizzate «le associazioni e tutte le organizzazioni che si occupano di immigrazione» che «sono una forza potentissima».
Sulla politica dell'accoglienza è anche la Cei. Degli accampamenti abusivi di nomadi e immigrati «per tanto tempo non ce ne si preoccupa, poi quando accadono fatti come le violenze sessuali di questi giorni si scatena la caccia alle streghe» mentre queste persone «andrebbero accolte e aiutate ad essere inserite in una convivenza civile» dice monsignor Domenico Sigalini, segretario della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei. Così Alemanno - che non vuole passare per il duro della situazione, almeno non al cospetto della chiesa - è costretto ad abbassare un po' i toni: «C'è chi vuole speculare sulla paura della gente, sulla voglia di riscatto e sulla rabbia e noi dobbiamo dire con chiarezza che non è pensabile di farsi giustizia con le mani proprie». Certo, dette da uno che su quella paura ha vinto le elezioni...
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