L'automobile di Berlusconi non è quella di Obama

30.01.2009 13:44

di Francesco Paternò

su Il Manifesto del 30/01/2009

Non c'è bisogno di aspettare dieci giorni per capire che il pacchetto governativo di misure a sostegno dell'automobile in crisi sarà solo un pacchetto di mischia, utile solo per tamponare l'emorraggia del mercato. I pur annunciati aiuti (finanziamenti? agevolazioni fiscali?) per ricerca e sviluppo di auto a basso impatto ambientale saranno irrisori o comunque non tali da spingere l'industria nazionale a cambiare passo radicalmente.
Il governo aumenterà le risorse per l'operazione - si parla di una cifra fino ai 500 milioni di euro - nonostante le forti riserve politiche e di bilancio del ministro dell'economia Giulio Tremonti, del ministro Maurizio Sacconi, equidistante nemico di Fiat e Cgil, e della Lega. Perché mettere sul mercato soldi per incentivare a comprare automobili può allargare il consenso. Silvio Berlusconi ne ha bisogno, anche avendo i numeri e lo stato pietoso dell'opposizione dalla sua parte. Darebbe un nuovo segnale di ottimismo nel momento in cui il mese di gennaio potrebbe chiudersi con un meno 40% di vendite di auto - prevede Lorenzo Sistino, responsabile del marchio Fiat - e la cassa integrazione nelle fabbriche del Lingotto prosegue in modo drammatico. In questo quadro suona utile l'allarme scomposto di Emma Marcegaglia sui 300.000 posti di lavoro a rischio in caso di non risposta del governo all'auto in crisi.
L'operazione italiana, così come si sta delineando, è opposta a quella fatta da Barack Obama in America e da Nicolas Sarkozy in Francia. Assomiglia un po' a quella inglese di Gordon Brown, 2,5 miliardi di euro (giudicati dall'opposizione «pochi e in ritardo» e destinati a un'industria ormai quasi completamente in mani straniere, l'Italia è davvero lontana), soldi sicuramente per rifinanziare le vendite ma assai genericamente legati alla produzione di «auto più ecologiche». Obama sta invece dando nuovo denaro all'auto di Detroit vincolandolo a scelte produttive strategiche: consumi ed emissioni dei nuovi modelli ridotti drasticamente già dal 2011 e poi un crescendo fino al 2020, con la California e altri 13 stati a guidare il paese verso una nuova frontiera. In sostanza, metà del mercato dell'auto nordamericano (oggi circa 7 milioni di veicoli, più di tre volte quello italiano) sarà fatto da auto diverse da come le conosciamo oggi, o non sarà. C'è allarme e proteste fra i costruttori e i lobbisti del petrolio, ma la strada è tracciata. E a Detroit non ne hanno un'altra: ieri la Ford, che non ha chiesto e ha ribadito che non chiederà prestiti governativi come hanno fatto General Motors e Chrysler, prossima alleata della Fiat, ha chiuso un 2008 con una perdita netta di 14,6 miliardi di dollari. Erano stati -2,7 nel 2007, mentre 5,9 sono spariti nell'ultimo trimestre.
In Francia, Sarkozy ha messo nel motore 6 miliardi di euro vincolandoli a un diktat da tempi bui: la Renault e la Peugeot-Citroen, prima di passare in cassa, si devono impegnare a non chiudere fabbriche e a non delocalizzare. Nulla di tutto questo si è sentito l'altra sera a palazzo Chigi nell'incontro fra governo e mondo dell'auto, se non per voce della Fiom e della Cgil. La Fiat di Sergio Marchionne ha già ampiamente delocalizzato, è impegnata in un importante accordo con la Chrysler cui potrebbero seguirne altri con un impatto diretto sull'occupazione in Italia, se l'intesa avvenisse con un partner europeo.
Il resto sta nel pacchetto governativo in attesa di approvazione, mentre il mercato si è definitivamente fermato, con danni diffusi. Per il ministro dei trasporti Altero Matteoli, «aspettiamo a dire che le risorse sono insufficienti», segno che gli incentivi alla rottamazione dovrebbero essere alzati rispetto ai vecchi provvedimenti e portati fino a 1400 o 1500 euro di sostegno per l'acquisto di un'auto nuova al posto di una vecchia. Per ricevere il bonus, è in corso un braccio di ferro per alzare il più possibile la soglia di emissioni. Ma come ricordava ieri Legambiente, non dovrebbe essere superiore ai 130 grammi per chilometro di anidride carbonica, limite di compromesso fissato dall'Unione europea per le nuove auto in produzione dal 2012, su cui a Bruxelles è stata guerra pesante. E poi altri soldi per le rate, forse sgravi fiscali. L'auto di Obama può attendere.

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