Istat: fatturato e ordini sottozero. Borsa, ko delle banche indebitate

21.01.2009 13:35

di Gemma Contin

su Liberazione del 21/01/2009

Altro che gran gelata! Qui siamo allo stadio dell'assideramento.
Eppure Silvio Berlusconi nega, nega tutto, nega sempre. Dice che invece non c'è da drammatizzare, che non è una tragedia se il Paese torna indietro di un paio d'anni (ricordate? l'ha detto il suo mentore Giulio Tremonti pochi giorni fa, quando la Bce ha dato i numeri sul Pil) facendo sbarellare il leader del Partito democratico Walter Veltroni, che parla di uscite del premier«sorprendenti e irresponsabili».
Peraltro i dati dell'Istat sono lì, davanti agli occhi di tutti, ieri sul fatturato e gli ordinativi dell'industria a novembre.
Numeri da capogiro. E la produzione di autoveicoli - che arriva all'indomani dei dati sulla criticità del settore auto in Europa, e in contemporanea con l'accordo tra due grandi malati come Fiat e Chrysler alla ricerca di «sinergie reciproche» (leggi: grandi tagli) - è la peggiore di tutti: meno 29,3% nell'ultimo anno, risultato tra il meno 30,3 sul mercato interno, ovvero la domanda nazionale, e del 27,9 nella domanda estera, cioè le esportazioni.
Peggio ancora gli ordinativi, crollati del 31%, con meno 22,5 a livello domestico e meno 42,9 sui mercati internazionali. Ciò avrà una ricaduta nerissima, come è facile capire, sulla produzione nei prossimi mesi e sul fatturato del semestre,periodo su cui si riflette a valanga il rapporto ordinativi-produzione e produzione-fatturato.
Più in generale, l'insieme di tutti i settori industriali italiani ha subito una flessione su base congiunturale (nel confronto di novembre su ottobre 2008, ultimi dati aggiornati su cui ha lavorato l'istituto centrale di statistica) del 3,9% del fatturato, con un meno 3,1 sul mercato interno e meno 5,8 su quello estero, e del 6,5% negli ordinativi.
Su base tendenziale (che vuol dire in corso d'anno, novembre 2008 su novembre 2007) «il fatturato risulta in calo del 13,1% a livello nazionale e del 15,7 sull'estero». Gli ordinativi, invece, hanno segnato un calo nell'anno di riferimento del 26% sul mercato nazionale e del 26,5 su quello estero. Rispetto ad ottobre «gli ordini sul mercato interno hanno registrato una flessione del 5,6 mentre quelli sull'estero sono scesi del 7,5%».
In particolare, in novembre «il fatturato ha registrato diminuzioni tendenziali del 17,6% per i beni strumentali, del 15,9 per quelli intermedi, del 14,7 per l'energia e del 7,6 per i beni di consumo», con una divaricazione allarmante tra il meno 18,5 tra beni durevoli e il meno 4,8% nei non durevoli, che poi sono i consumi primari.
L'indice del fatturato ha segnato le diminuzioni più significative nei settori della produzione dei mezzi di trasporto, meno 20,6%, dei mobili, meno 19,6, delle altre industrie manifatturiere, meno 19,4, e della produzione di macchine e apparecchi meccanici, meno 19%.
Nel medesimo periodo, scrivono gli uomini di Via Cesare Balbo, «le variazioni negative più marcate dell'indice degli ordinativi hanno riguardato la produzione di mezzi di trasporto, con un meno 62,1% risultante da un calo del 32,9 della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi, e dell'85,8 nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto.
Ma le cattive notizie, come si sa, non arrivano mai da sole.
Mentre il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha convocato in Via Nazionale la riunione dei grandi banchieri, da cui dovrebbero uscire lo stato dell'arte e i suggerimenti sul come il grande capitale finanziario intenda muoversi per disincagliare la nave italiana, il Paese assiste con fiato corto al tracollo in Borsa dei titoli bancari.
A fine mattinata tutti i grandi gruppi erano in negativo: meno 5,15 punti percentuali di capitalizzazione per Intesa-SanPaolo, il gruppo di Giovanni Bazoli e Corrado Passera; meno 3,24 punti il megaistituto di Alessandro Profumo e Cesare Geronzi Unicredit-Capitalia, che neutralizza anche il rialzo (più 0,68%) della sua merchant bank Mediobanca; meno 1,98 il gruppo senese del Monte dei Paschi-Banca Toscana.
Si tratta di una crisi estesa del sistema bancario che, ben lontano da quei requisiti di trasparenza e solidità di cui sono andati parlando a vanvera il premier Berlusconi e il ministro Tremonti all'indomani del crack Lehman Brothers, è invece in piena balia dei contraccolpi prodotti da investimenti in derivati opachi, fondi di investimento ad alto rischio, mutui inesigibili e quant'altro, importati dalla crisi della finanza americana e dall'intreccio di questa con gli investitori finanziari internazionali, che adesso si abbatte sulle casse italiane.
Con un cortocircuito che va a colpire proprio il sistema degli investimenti produttivi. Infatti, mentre da un lato la raccolta è sostenuta dalla bassa propensione alla spesa, dall'altro le banche fanno un cernita "a pettine fitto" dei finanziamenti al sistema produttivo e delle aperture di credito alle aziende, ad esempio per anticipare il pagamento delle fatture, la riscossione dei crediti, il rientro delle riba, eccetera.
Ne deriva, primo: che nelle mani delle banche, soprattutto dei grandi istituti che fanno capo a Profumo e a Passera, c'è l'intero sistema industriale italiano; e secondo: che, se le banche continueranno a investire in hedge fund e derivati, non avranno soldi, o non ne avranno abbastanza, per finanziare le imprese. Così saranno loro a decidere chi deve vivere e chi deve morire.
Governatore Draghi, ci faccia sapere se intende metterci una toppa.

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