
Israele bombarda. Gaza infiamma il Medio oriente
di Fra. Marr.
su Liberazione del 11/01/2009
A due settimane dall'inizio dell'operazione "Piombo Fuso", che ha ucciso a Gaza settecentottanta palestinesi e ne ha mandati all'ospedale feriti oltre tremiladuecento, Hamas ha ieri chiamato a raccolta il mondo islamico, per una nuova "giornata della collera", da scatenare, come la settimana scorsa, al termine della preghiera del venerdí.
Nonostante un massiccio schieramento di polizia abbia blindato ieri Gerualemme, incidenti si sono ripetuti in varie zone della parte est della cittá. Manifestazioni si sono tenute in tutta la West Bank e nell'intera Regione. Da Amman, al Cairo, a Doha, a Baghdad, migliaia di persone hanno gridato slogan contro Israele, ma anche contro i regimi arabi considerati "complici" degli americani. A Ramallah la polizia dell'Anp ha manganellato e mandato all'ospedale diversi sostenitori di Hamas. La guerra di Gaza sta pericolosamente infiammando il Medio Oriente. E non c'è nessun segnale che faccia sperare in una tregua che regga. La risoluzione sul cessate-il-fuoco votata dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu è giá carta straccia, respinta da Israele, come da Hamas. Il solo a non aver capito che la diplomazia su Gaza è con le gomme a terra pare il presidente Abbas, il cui mandato è scaduto ieri, «Adesso il problema sta nel tradurre le parole dell'Onu in fatti», ha dichiarato ieri Abu Mazen da Madrid. Se potesse spiegare anche come, i palestinesi di Gaza avrebbero maggiore fiducia in qualche chance in più per sopravvivere.
L'iniziativa americano-franco-egiziana resta bloccata. Per Israele condizione essenziale per accettare il cessate-il-fuoco è bloccare la possibilità di riarmo di Hamas attraverso il confine egiziano. Hamas respinge l'ipotesi di un cordone di monitoraggio ed interposizione a Rafah (confine Egitto), chiede la fine del blocco e il ritiro delle truppe israeliane. Muro contro muro. Agli abitanti di Gaza non resta che continuare a scontare la condanna a morte quotidiana. Le armi non si sono fermate, ieri, come il giorno precedente, nemmeno durante le tre ore di corridoio umanitario. Tregua minima necessaria a tamponare, con l'ingresso di aiuti, la disastrosa situazione in cui versano i civili di Gaza, disattesa da Hamas come da Israele. Mentre i bombardamenti di aviazione, marina e artiglieria israeliana non si sono fermati sulla Striscia, almeno quaranta razzi partiti dal territorio palestinese hanno raggiunto Isrsaele, a Beersheva, Ashdon e Sderot. Almeno venti i palestinesi uccisi a Gaza, tra cui una donna ucraina con i figli e il cameramen di fiducia di Yasser Arafat. Altri cadaveri sono stati recuperati fra le macerie di edifici crollati nei giorni scorsi. Sono undici gli israeliani uccisi dall'inizio dell'operazione a Gaza, di cui tre civili. Le Nazioni Unite hanno ripetuto ieri che su un totale di settecentottanta morti palestinesi almeno 257 sono bambini e almeno sessanta sono donne.
E da Gaza di giorno in giorno continuano a emergere, con ritardo, anche per l'assenza degli occhi della stampa internazionale, tenuta fuori da Gaza, testimonianze raccapriccianti. Solo ieri si è appreso, dopo un briefing dell'ufficio Onu per il coordinamento umanitario (Ocha), dell'eccidio di trenta civili palestinesi, uccisi dopo essere stati riuniti insieme a un centinaio di altri palestinesi, in un magazzino del quartiere Zaitun di Gaza City dalle truppe israeliane. «Secondo diverse testimonianze, il quattro gennaio, dei soldati hanno evacuato e raggruppato circa centodieci palestinesi, di questi la metà bambini, ordinando loro di restare all'interno dell'immobile. Ventiquattr'ore più tardi, le forze israeliane hanno bombardato a più riprese l'edificio, uccidendo circa trenta persone». Nell'attacco è stata decimata la famiglia allargarta dei Sammuni. I sopravvissuti sono ricoverati ora all'ospedale Shifa.
Il giornalista di Gaza, Safwat al Khalout ha raccolto la loro restimonianza. Mayssa Samuni, 23 anni, ha raccontato che domenica quattro gennaio, di mattina presto, i soldati israeliani sono entrati a casa sua e dei parenti ordinatogli di radunarsi tutti in un locale vicino, «una specie di magazzino di cemento», ha racconto Mayssa al giornalista palestinese, aggiungedo che erano rimasti stipati l'uno sull'altro senza acqua e senza cibo. «La mattina di lunedì (cinque gennaio) tre miei cugini hanno socchiuso la porta, hanno visto che la situazione sembrava tranquilla e hanno deciso di avventurarsi fuori. Ma fatti pochi passi sono stati colpiti da un razzo sparato da un aereo senza pilota o da un carro armato, credo», la donna ha aggiunto che erano tutti terrorizzati. «Dopo circa due ore c'è stata una seconda esplosione, all'interno del magazzino che si è riempito di fumo e di polvere. Quando abbiamo potuto vedere cosa era accaduto attorno a noi, abbiamo visto per terra decine di morti e feriti». Mayssa ha visto il marito morto. Poi il suocero, la suocera, zii, nipoti. «Mio cognato mi ha detto che ormai mio marito era morto e che dovevamo pensare ai feriti. Così siamo usciti in cerca di aiuto». Con un fazzoletto la giovane donna, ora vedova, ha cercato disperatamente di fermare l'emorragia alla mano della sua bambina Jumana, che ha perso tre dita. I sopravvissuti della famiglia Samuni hanno raccontato che i soldati israeliani incontrati per strada dopo la strage hanno chiesto loro dove fosse nascosto Ghilad Shalit.
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Gaza - Fermiamo il massacro
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