
Il vulnus e la cicatrice
di Tommaso Di Francesco
su Il Manifesto del 21/12/2008
Alla fine il segnale è arrivato. Il ministro della difesa americana Robert Gates ha chiesto al Pentagono i piani per chiudere Guantanamo, il sistema carcerario di massima sicurezza dove gli Stati uniti di Bush hanno rinchiuso i «nemici combattenti», status improbabile della nuova categoria politico-antropologica del male, a partire dai responsabili dell'11 settembre. A farlo è il ministro scelto da Bush dopo i fallimenti di Ronald Rumsfel e poi confermato dal neoletto presidente Barack Obama che, dunque, mantiene le promesse. Ma sarà mai possibile chiudere Guantanamo, visto che anche la decisione finalmente presa, si trova di fronte a nuove contraddizioni e difficoltà? La scelta di aprire «Gitmo», pur dettata dal bisogno straordinario di rispondere ad un nemico esterno che colpiva per la prima volta sanguinosamente il cuore del territorio americano, ha infatti rappresentato un vulnus anche rispetto ai contenuti della giustizia americana e uno strappo alla concezione del diritto tout-court. Una ferita che, con i massacri di Bagram e l'inferno di Abu Ghraib, è diventata anche la legittimazione di un radicato sentimento anti-occidentale.
Con il sistema di campi di concentramento fuori dal territorio statunitense, l'amministrazione Bush ha cancellato ogni principio di giustizia: dall'habeas corpus, le imputazioni formali necessarie per accusare e privare della libertà qualsiasi persona; alle corti marziali, istituzioni che negano ogni prospettiva di processo perché sono corti di guerra istruite su prove segrete, fuori da ogni controllo civile; fino all'uso sistematico della tortura. Un sistema concentrazionario che ha ingoiato ottocento vite umane, la cui storia è in massima parte assolutamente non riconducibile all'attacco alle Torri gemelle. Centinaia sono stati i prigionieri di guerra catturati in Afghanistan, tanti i simpatizzanti delle madrasse coraniche, molti gli occidentali, altrettanti gli adolescenti. Quattro detenuti ingabbiati come gli altri senza capo d'imputazione si sono suicidati, altri quarantuno hanno tentato di togliersi la vita. Gesti disperati interpretati dallo stato maggiore americano come «atti di guerra asimmetrica». Ma che la maggior parte degli «ingabbiati» era innocente è dimostrato dal fatto che in 500 sono stati alla fine liberati.
Ma veniamo alle difficoltà di chiudere Guantanamo, e non solo perché le resistenze restano - il vice-presidente uscente Dick Cheney insiste che «sarebbe un grave errore». I nodi riguardano la devastazione del sistema giuridico americano e insieme le complicità internazionali che in questi lunghi sei anni dall'apertura nel 2002, hanno permesso e sostenuto l'infamia di Guantanamo, ufficialmente condannata da Amnesty International all'Ue, dalla Croce rossa all'Onu. In primo luogo la questione dei quattro detenuti che, come Khalid Sheick Mohammed considerato la «mente» dell'11 settembre, si dichiarano colpevoli e che chiedono di essere giustiziati nel tentativo di diventare martiri jihadisti. Che fare di loro e dei rimanenti 250 ingabbiati? Come processarli «regolarmente»? Si fa strada la proposta di nuove corti anomale, «ibride», «asimmetriche» come la guerra in corso in Iraq e Afghanistan. E dove smistarli, visto che i 500 già liberi sono diventati pericolosi testimoni della più grande vergogna occidentale? L'idea è farli processare altrove, restituirli con nuove ordinary rendition dopo le extraordinary, ancora una volta con la complicità degli stessi governi, dell'est e dell'ovest, che già si sono prestati alle catture illegali dei «nemici combattenti» sempre con un avallo politico bipartisan - come ha dimostrato in Italia la vicenda Abu Omar. Senza dimenticare quel che accade a Sarajevo in questi giorni. Dove si scopre una verità che fa riflettere sull'origine dell'espansione integralista islamica. Cioè che la Cia è un tour operator: infatti, prima l'intelligence Usa ha gestito i mujaheddin in Afghanistan negli anni Ottanta contro i russi, poi li ha portati in migliaia in Bosnia nel 1992-1993 tramite una triangolazione di uomini e armi voluta da Clinton e organizzata da Arabia saudita e Iran, come dimostrò una commissione d'inchiesta del Senato Usa nel 1996; poi ha catturato in Bosnia alcuni di loro dopo l'11 settembre 2001 per spedirli a Guantanamo con la complicità, l'omertà e la logistica di tutti i governi europei, dell'ovest e dell'est. E infine ora li riporta da Guantanamo in Bosnia, dove arrivano disperati raccontando che «è il peggior luogo del mondo». Sarà difficile chiudere tutto in fretta come se il vulnus di Guantanamo non ci fosse mai stato, sarà difficile suturare una tale ferita. Comunque la cicatrice resterà. E profonda.
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