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Dino Greco
Come da copione. Cisl, Uil e Confindustria marciano ineffabili verso l'accordo separato sul modello contrattuale, con il governo interessato sensale. Circola - semiclandestino - il testo dell'intesa che pare ormai in dirittura d'arrivo. Nessuna rimeditazione delle "linee guida" del 22 gennaio scorso, già pomo della discordia. C'è di tutto e di più in questo testo che si presenta come un prontuario di tutto ciò che un sindacato non dovrebbe mai fare ai lavoratori e a se stesso. Lì vi si trova che il salario reale è destinato inesorabilmente a diminuire, per effetto di un contratto nazionale che non potrà neppure recuperare quanto viene eroso dall'inflazione. Di più. Quei modesti risultati potranno essere sottoposti a deroga, territorialmente, con il consenso dei sindacati stipulanti, di fronte a situazioni aziendali di crisi, ma anche «per determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti»: mirabile esempio di federalismo contrattuale, in virtù del quale la pratica del dumping sociale si trasferirà dai rapporti fra fra imprese di stati diversi a quelli fra imprese di territori di un medesimo stato, o regione. Diciamo la verità: una volta compromessa l'universalità della norma, il contratto nazionale non viene soltanto depotenziato. Semplicemente, non esiste più. A maggior ragione di fronte ad una crisi talmente violenta da esporre i lavoratori ad ogni sorta di condizionamento quando non di esplicito ricatto. Con il contratto nazionale, la cui dinamica retributiva diventa un puro esercizio contabile affidato ad un «soggetto terzo di riconosciuta autorevolezza» (sic!), viene azzerata anche l'autonomia rivendicativa delle categorie. Che messe così a riposo avranno tempo per dedicarsi alla costruzione di quell'edificio consociativo che sono gli enti bilaterali, dove si concorda un po' di welfare (ciascuno secondo le forze proprie) e si riscuotono prebende che garantiscono la sopravvivenza delle burocrazie
Niente conflitto e democrazia a remengo, ma soldi tanti. In azienda, contrariamente ai proclami, non si farà un bel niente. Anzi: per ottenere qualche beneficio fiscale il salario negoziato in quella sede dovrà essere interamente variabile e correlato ad indici di produttività e di bilancio. E guai a chi sgarra, perché alle confederazioni firmatarie competono anche funzioni di gendarmeria. L'esercizio della contrattazione di secondo livello continuerà ad essere prerogativa dei soliti noti (crisi permettendo). Agli altri, che non ce la fanno, soltanto una mancia, a fine contratto e purché non percepiscano già superminimi, neppure individuali! Seguono altre nequizie, di varia consistenza ed entità. Come le clausole di raffreddamento del conflitto (l'autoironia non abita da quelle parti). E per le aziende che ritardano la sottoscrizione di un accordo oltre la sua naturale scadenza? Lì no. Lì nulla: un innocuo incontro fra le parti, che non si nega a nessuno. Brutta storia. La risposta, tuttavia, è alle porte: sabato apre le danze il sindacalismo di base, il 4 aprile toccherà alla Cgil. Sarà bene per i lavoratori e per la democrazia di questo sconquassato Paese che le mobilitazioni riescano. Vi presti attenzione anche la Ces, che sull'argomento sembra in preda a qualche stato confusionale.
Liberazione 27/03/2009
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