
Il lungo viaggio nell'odio. L'antisemitismo. Ieri e oggi
di Guido Caldiron
su Liberazione del 06/01/2009
"L'archivio antiebraico" dello storico Simon Levis Sullam
Quanti volti ha assunto l'antisemitismo nel corso della Storia? Quanta parte ha avuto nelle vicende e nella formazione stessa della cultura europea? E quanti linguaggi parla ancora oggi in tutto il mondo? Lo storico veneziano Simon Levis Sullam ha cercato di rispondere a queste e a molte altre domande tracciando una sorta di agile dizionario del «linguaggio dell'antisemitismo moderno» nel suo L'archivio antiebraico pubblicato di recente da Laterza (pp. 102, euro 14,00) nell'anniversario delle Leggi razziali varate dal Fascismo nel 1938.
Già docente all'Università di Berkeley e attualmente ricercatore all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole, tra i redattori della monumentale Storia della Shoah , 2800 pagine divise in 5 volumi pubblicati da Utet, Levis Sullam concetra la sua ricerca sulla «dimensione ideologica, culturale e linguistica (...) del moderno antisemitismo politico». Non a caso il suo libro si apre con la citazione di uno dei testi fondamentali sulla relazione tra "il linguaggio e i sistemi totalitari, in questo caso quello nazista, quel La lingua del Terzo Reich pubblicato da Victor Klemperer all'indomani della Seconda guerra mondiale. «Muta il valore delle parole e la loro frequenza - scriveva Klemperer a proposito dell'"invenzione della lingua nazista" - trasforma in patrimonio comune ciò che prima apparteneva ad un singolo o a un gruppuscolo, requisisce per il partito ciò che era patrimonio comune e in complesso impregna del suo veleno parole, gruppi di parole e struttura delle frasi, asservisce la lingua al suo spaventoso sistema».
Per lo storico veneziano, riprendendo l'analisi e il metodo di Michel Foucault, l'antisemitismo non è da considerarsi tanto come un sistema di pensiero coerente o «una teoria ideologica precisamente strutturata», quanto piuttosto come un discorso o, più precisamente, una pratica discorsiva e ideologica. Modalità del pensiero e del discorso che si avvalgono di una sorta di "magazzino delle idee" dove i singoli enunciati sono organizzati, messi in relazione gli uni con gli altri. «L'archivio antiebraico - spiega infatti Levis Sullam - è per noi, più in generale, quel repertorio di immagini, luoghi, ragionamenti, meccanismi concettuali, quella biblioteca di testi - anonimi, collettivi, di singoli autori - che hanno costituito l'antiebraismo come pratica discorsiva, offrendovi costante alimento, ma trasformandosi in congiunture storiche nuove e diverse. Dando quindi nuova attualità agli elementi di questo archivio, biblioteca o repertorio (...) Fondamentali sono quindi anche, oltre ai testi, i contesti: sia di genesi che di lettura e rilettura».
Ma cosa cercare oggi e cosa, soprattutto, si è stratificato fin qui nell'"archivio" dell'antisemitismo? «Esso si forma e si trasforma a partire da un insieme di testi e in determinati passaggi storici che talora non hanno direttamente a che fare con l'ebraismo: dalla nascita del cristianesimo, alla Riforma, alla Rivoluzione frncese, all'affare Dreyfus, alla Rivoluzione russa, e più tardi naturalmente alla Seconda guerra mondiale, alla nascita dello Stato di Israele, fino, molto più di recente, all'11 settembre». Dall'antigiudaismo di matrice cattolica, passando per I Protocolli dei savi anziani di Sion , Drumont e l'antisemitismo nazista, fino alla Shoah, l'"archivio" si conpone di molte diverse fasi che lasciano tracce per ciò che seguirà. Non solo. Levis Sullam sostiene infatti che «nei prodromi di due rivoluzioni, quella francese del 1789 e quella europea del 1848, Voltaire e Marx introducono la questione ebraica nel discorso sulla modernità riprendendo anche alcuni luoghi della tradizione antigiudaica, e così facendo forniscono nuovi testi all'archivio antiebraico del lungo Ottocento e dell'età contemporanea».
Dopo la Seconda guerra mondiale, e malgrado la memoria dell'Olocausto sia lì a impedire che un esplicito "spazio di senso" antisemita si esprima alla luce del sole nella politica europea, dal repertorio custodito nell'archivio antiebraico continuano ad emergere nuovi veleni. Così, scrive Levis Sullam, «la nascita dello Stato di Israele non costituisce solo la concretizzazione del sogno sionista, ma la realizzazione di un fantasma dell'archivio antiebraico: il costituirsi del popolo ebraico come realtà politica, come nazione». Concretamente, malgrado «antisemitismo, antisionismo e critica allo Stato di Israele non possono essere identificati sic et simpliciter», «nelle reazioni e nello scontro politico tra mondo arabo e Israele, l'antisionismo - che generalmente esprime qui l'opposizione all'esistenza stessa dello Stato ebraico (...) ed è comunque contrapposizione radicale alla politica di Israele - riattiva spesso elementi dell'archivio antiebraico, intrecci, simboli, figure di quell'immaginario (quello cristiano e cattolico antigiudaico compresi), e in larghi settori dell'opinione pubblica araba diviene antisemitismo tout court . Lo Stato di Israele si identifica con tutto il popolo ebraico e all'antiebraismo si intrecciano altri filoni discorsivi e ideologici come l'antimperialismo o l'antiamericanismo». Negli ultimi anni, segnala lo storico veneziano, è però emerso anche un altro fenomeno che sembra attivare la medesima pericolosa semplificazione, ma con un segno inverso. «In Italia - sottolinea Levis Sullam - assistiamo (...) a una paradossale e ambigua tendenza (...) per cui forze di destra e conservatrici, tradizionalmente razziste e xenofobe, ritengono che il banco di prova della loro avvenuta democratizzazione si misuri esclusivamente nella condanna dell'antisemitismo storico o, peggio, nel loro sostegno ai governi più conservatori di Israele. Personalmente mi è accaduto di partecipare alle cerimonie per il giorno della Memoria in una città del Veneto dove un assessore leghista condannava Auschwitz e commemorava l'Olocausto, mentre - come ho tenuto a ricordare pubblicamente in quella occasione - il suo stesso partito poco tempo prima, nella stessa città, aveva invocato i vagoni piombati per gli extracomunitari».
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