I pacifisti come Luther King. Uniti e non di parte»

17.01.2009 13:34

di Guido Caldiron

su Liberazione del 17/01/2009

Moni Ovadia, Artista e intellettuale impegnato nel dialogo tra le culture

Nato in una famiglia sefardita, ma cresciuto in un ambiente di cultura yiddish e mitteleuropea, Moni Ovadia è nato in Bulgaria è si è trasferito fin da bambino a Milano. Da anni lavora all'incontro e al dialogo tra le culture con spettacoli e testi che rielaborano il patrimonio yiddish.

L'ipotesi di una tregua a Gaza sembra perdere consistenza con il passare dei giorni. Come valuti la situazione?
E' una situazione terribile, disastrosa. Lo è per la gente di Gaza in questo momento sottoposta ai bombardamenti. Lo è stato, anche se in un'altra misura, per quegli israeliani sottoposti al lancio di missili che, per quanto obsoleti, possono ferire e uccidere. Certo, non si può non essere vicini al popolo palestinese perché la sua situazione è spaventosa. E non da ora, ma da decenni, visto che non si è voluto risolvere il problema e visto che nessuno ha voluto prendere un'iniziativa che cercasse di favore un confronto. La politica israeliana è stata caratterizzata da una miopia ostinata, accanita nel credere solo nella forza militare e nel trasformare quella che è una condizione legittima e sacrosanta, vale a dire la difesa dei cittadini dello Stato di Israele, in una ideologia sicuritaria, legittimando colonizzazioni, muri, sradicamento di alberi come di persone. Questo mentre anche i paesi arabi hanno accumulato pesanti responsabilità, una cosa che viene ricordata troppo poco. Le mire egemoniche, penso ad esempio alla Siria, i rapporti di potenza dei diversi paesi dell'area non hanno mai fatto davvero gli interessi della popolazione palestinese. Quindi la situazione è spaventosa sia per ciò che accade a Gaza, che va fermato, che per l'assenza di vere prospettive di pace per il futuro.

In questo clima cosa possono fare concretamente i pacifisti, la sinistra, i democratici in Italia come in tutta Europa?
Credo dovremmo impegnarci tutti per costruire una grande mobilitazione internazionale, creare un coordinamento almeno a livello europeo e chiedere a gran voce la pace. Immagino qualcosa come la grande manifestazione guidata da Martin Luther King che portò a Washington all'inizio degli anni Sessanta persone da tutti gli Stati Uniti per chiedere uguaglianza di diritti tra bianchi e neri. Ora abbiamo bisogno di qualcosa del genere. Non serve a niente che ognuno si faccia la sua manifestazione, tanto per dimostrare che siamo divisi in mille pezzettini... Ora serve dare all'establishment israeliano l'idea che quello che sta facendo, oltre a uccidere e devastare Gaza, rappresenta un pericolo anche per la stessa Israele, visto che si sta gettando benzina sul fuoco, si rischia di creare le condizioni per una nuova generazione di terroristi. La pace si costruisce solo con il nemico. E perciò è necessario che Israele tratti con Hamas. Perciò come europei dobbiamo far sì che la Ue solleciti questo dialogo, sola via perché il conflitto abbia termine. Certo si devono anche sostenere economicamente e con la solidarietà internazionale i palestinesi che oggi sono sotto le bombe, ma il nostro compito principale è far sì che il mondo intero si muova per la pace con azioni importanti, significative.

Tu dici "far parlare i nemici" per costruire la pace. Ma in Italia negli ultimi anni è diventato sempre più difficile perfino far parlare storici amici come la sinistra e la comunità ebraica. Cosa sta succedendo?
Il problema è che troppa gente invece di occuparsi di esseri umani, si occupa di "nazionalismo". Per una parte delle espressioni comunitarie degli ebrei italiani, non di tutti gli ebrei visto che moltissimi di noi sono più che contrari alle politiche del governo israeliano, conta più la "fazione", l'appartenenza: Israele ha sempre ragione, punto e basta. Non c'è nessuna riflessione, solo lo schierarsi aprioristicamente. Questo produce, soprattutto in Italia, visto che in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti nelle comunità ebraiche si levano voci fortissime di dissenso con le scelte del governo di Israele, un appiattimento completo. Perché? Forse perché sono lo specchio del paese, dell'Italia di oggi e della sua politica?

Resta poi il problema di chi utilizza le mobilitazioni di sostegno ai palestinesi come una vetrina per la propria visibilità, bruciando bandiere e pupazzi...
Già, quando mai il rogo di una bandiera è servito a fare qualcosa per un oppresso? Io capisco che un giovane palestinese, esasperato dall'orrore che vede intorno a sé, perda la testa. Ma che lo faccia uno che vive qui, o un italiano, mi sembra assolutamente inaccettabile. Cosa c'entra infatti bruciare una bandiera con il fatto di voler aiutare la popolazione palestinese che sta ogni giorno sotto le bombe a Gaza? Che senso ha bruciare una bandiera, che invece di aiutare il popolo palestinese fa il gioco della parte più retriva dell'altro schieramento che subito dirà: "Vedete come ci odiano" e via dicendo. Il fatto è che evidentemente chi fa simili gesti non pensa minimamente ai palestinesi: pensa a se stesso, guarda il proprio ombelico, cerca di farsi notare... E intanto la gente continua a morire. Io di simili atteggiamenti non ne posso più, non ne posso più di questo ciarpame. Invece di concentrarci sulla situazione del popolo palestinese che è il più solo e abbandonato del mondo e cercare di capire come un grande movimento di solidarietà internazionale possa riuscire a fare scudo per evitare o perlomeno per attenuare le terribili sofferenze di questa povera gente, ecco lì che si prova solo a farsi notare.

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