Guerra dei media, l'altra «Piombo fuso»

02.01.2009 13:19

di Michelangelo Cocco

su Il Manifesto del 02/01/2009

I giornalisti locali esclusi per legge, quelli stranieri - de facto - dall'inizio dei bombardamenti su Gaza. I filmati dell'esercito invadono Youtube e un nuovo organismo detta tempi e modi d'intervento dei ministri in televisione. Così la propaganda prova a nascondere le immagini dei massacri l'altra «Piombo fuso» Se riaprirà Erez, entreranno solo 8 reporter per volta Un direttorato guida la campagna di pubbliche relazioni

Quando il valico di Erez riaprirà, a testimoniare la tragedia di Gaza saranno riammessi solo otto giornalisti alla volta. Otto reporter «privilegiati» per ogni interruzione del black out totale sull'informazione decretato da mesi dal governo di Tel Aviv, scelti da un apposito elenco redatto dall'associazione della stampa estera. Si può ipotizzare che - se l'assedio e i raid contro la Striscia continueranno a lungo - una testata come il manifesto per mesi interi potrebbe non vedere da vicino quello sta accadendo.
Il bavaglio sull'informazione ha suscitato la protesta dei reporter stranieri (a quelli israeliani l'accesso ai Territori occupati è vietato per legge) che, dopo l'inizio dei bombardamenti sabato scorso, hanno presentato un ricorso alla Corte suprema. L'altro ieri l'Alta corte ha decretato che l'esecutivo ha il dovere di garantire l'accesso alla stampa estera al teatro dell'operazione «Piombo fuso». Ma con quali modalità?
Secondo quanto anticipato dal quotidiano Yedioth Ahronoth, ogni volta che il governo stabilirà che sarà possibile accedere, sarà solo un gruppo di otto «fortunati» a poter passare i cancelli del varco di frontiera nel nord della Striscia. Dal momento che quelli accreditati presso l'associazione della stampa estera sono oltre 400, si prevede che per le testate «minori» i tempi d'accesso alla Striscia risulteranno lunghissimi. I rappresentanti delle piccole testate temono inoltre che venga data precedenza ai grandi network e lasciate fuori le piccole realtà che fanno uso nel loro lavoro del contatto diretto con la popolazione palestinese e delle fonti locali.
Mentre la stampa estera continua a rimanere a bocca asciutta, l'esercito israeliano utilizza anche Youtube per diffondere il suo punto di vista sui raid che sono costati finora la vita a 417 palestinesi e ne hanno feriti circa 1.800. Il canale inaugurato dai militari dell'Idf, che raccoglie immagini «selezionate» degli attacchi degli ultimi sei giorni, è stato lanciato come parte di una più ampia campagna di «pubbliche relazioni» che mira a ottenere l'appoggio dell'opinione pubblica internazionale. I video dell'Idf su Youtube mostrano tunnel distrutti e caserme di Hamas bombardate, ma nulla sulle vittime civili. «I blog e i nuovi media rappresentano un campo di battaglia nella guerra per la conquista dell'opinione pubblica mondiale», ha spiegato al quotidiano Ha'aretz la portavoce dell'esercito Avital Leibovich.
È da almeno sei mesi che l'esercito israeliano pianificava «Piombo fuso» e che si preparava ad affrontare, anche da un punto di vista mediatico, la nuova offensiva. Per farlo bisognava evitare assolutamente «gaffes» come quella del vice ministro della difesa Matan Vilnai che un anno fa minacciò «un olocausto» contro i palestinesi. Sul Jewish Chronicle Anshel Pfeffer ha raccontato l'allestimento del Direttorato nazionale dell'informazione, un organismo interno all'ufficio del primo ministro.
«Una delle lezioni tratte dalla guerra in Libano è che nella copertura mediatica del conflitto c'erano troppe uniformi - ha detto Yarden Vatikay, a capo del Direttorato - e questo non è risultato positivo». Una delle prime mosse del nuovo organismo è stata dirigere la maggior quantità possibile di giornalisti a Sderot, per concentrare la loro attenzione sugli effetti sulla popolazione civile israeliana dei lanci di razzi palestinesi da Gaza.
Il governo ha inoltre ordinato ai ministri di non rilasciare interviste (per evitare «gaffes» come quella di Vilnai): tra i membri dell'esecutivo non direttamente impegnati in «Piombo fuso», soltanto il responsabile degli affari sociali Yitzhak Herzog e quello della sicurezza interna Avi Dichter sono stati autorizzati a parlare. Al contrario membri del Direttorato come Avi Pazner - ex ambasciatore in Italia e Francia - a partire da sabato scorso, in soli tre giorni, ha rilasciato un centinaio d'interviste, in francese, italiano, inglese e spagnolo. L'ostilità principale viene incontrata da parte della carta stampata, soprattutto quella britannica, con in testa i quotidiani The Guardian e The Independent. A fare da contraltare ci pensa l'attivissimo ambasciatore a Londra, Ron Prosor, che, sempre nei primi tre giorni dell'attacco, ha rilasciato 25 interviste a canali televisivi e radiofonici nazionali.

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