"Governo Immobile"

03.03.2009 13:53

 

Intervista a Paolo Leon, professore di Economia pubblica all'Università "Roma III"

 

Roberto Farneti


Paolo Leon, professore di Economia pubblica all'Università "Roma III". Lo stato della nostra economia è disastroso. L'Istat ha reso noto che nel 2008 il Prodotto interno lordo è crollato dell'1%, il dato peggiore dal 1975. Il governo aveva stimato invece una diminuzione del Pil dello 0,6%. Invece di prendersela con i corvi che diffondono pessimismo, non sarebbe meglio investire risorse per almeno tentare di arginare gli effetti della crisi, come sta facendo anche il presidente Obama negli Stati Uniti?
Mi pare evidente che il governo non vuole arginare la crisi. Da quello che si capisce, l'idea del governo è che la crisi deve risolversi per conto suo o che al massimo l'Italia potrà seguire la ripresa che verrà condotta da altri paesi, gli Stati Uniti in primo luogo poi la Germania e forse la Francia. Perché si comporta in questo modo?

Berlusconi e Tremonti dicono che dobbiamo rispettare i parametri europei...
Queste sono tutte sciocchezze. Germania e Francia sono già uscite dai parametri di Maastricht e l'Italia, anche se non fa niente, uscirà lo stesso dai parametri, perché se il Pil diminuisce, diminuiscono le entrate e quindi il debito rispetto al Pil aumenta. Stare fermi è un suicidio. Per questo io ritengo che dietro questo immobilismo ci sia un preciso calcolo politico. Tutto sommato a pagare la crisi non è l'intera popolazione: soffre il 30-40%, mentre l'altro 60% soffre meno e quindi il governo può sperare di conservare un consenso maggioritario. Un po' quello che ha fatto la Thatcher in Inghilterra. Peraltro la politica del rispetto pedissequo dei parametri di Maastricht, anche quando le condizioni dell'economia sono tali da privare questi parametri di una legittimità reale, è una politica che somiglia molto a quella dell'ex ministro Padoa Schioppa. Ciò non vuol dire che il problema del debito non sia serio. La vera paura del governo è che se il debito aumenta di molto, poi la gente non se lo compra. Si dimentica che tanti anni fa avevamo un debito che era il 120% del Pil e tutti si compravano titoli di Stato. Oggi a maggior ragione, perché questi ultimi sono molto più sicuri di qualsiasi tipo di titolo finanziario offerto sul mercato, compresi i titoli delle banche. Non c'è quindi una ragione economica stretta per cui il governo non possa intervenire sulla crisi: non vuole intervenire, questa è la verità.

Negli Usa Obama non solo sostiene l'economia - penso al pacchetto di aiuti all'industria dell'auto - ma non dimentica la solidarietà. Per garantire la sanità a tutti, ha annunciato che alzerà le tasse ai più ricchi. Qui in Italia una proposta del genere, avanzata dalla Cgil, non è stata nemmeno presa in considerazione. Eppure il calo della domanda interna è uno dei nostri problemi principali. Non pensa che politiche redistributive, finalizzate alla crescita del potere d'acquisto delle famiglie a basso reddito e dei lavoratori, potrebbero contribuire a farci uscire dal tunnel?
Non c'è dubbio. Del resto sono questioni che anche Tremonti aveva posto all'inizio. Solo che poi ci ha ripensato. Per la verità c'è anche da fare qualcosa per il miglioramento della produttività, perchè in momenti come questi si scatenano tutti i protezionismi e le nostre aziende fanno più fatica a vendere all'estero, dal momento che ciascun paese cerca di favorire le proprie aziende. Nel frattempo il sistema bancario deve finanziare le imprese, soprattutto i loro costi di esercizio, perché se ciò non avviene anche se ci fosse domanda le imprese chiuderebbero, perché la domanda sarebbe insufficiente. E se per un periodo le banche dovessero andare in perdita, non importa, tanto poi si riprenderanno. Così come il governo deve spendere anche se aumenta il deficit. In momenti di crisi come questo il risparmio è un vizio, non una virtù.

Stiamo parlando ovviamente di investimenti da parte del soggetto pubblico. Molte famiglie vorrebbero spendere, ma non hanno i soldi...
Certo. Queste famiglie vanno sostenute, non solo per non fare perdere loro lo standard di vita goduto fino a oggi, ma anche perché ci conviene da un punto di vista economico.

Quello della bassa produttività è un problema storico delle imprese italiane, che per competere hanno puntato sulla riduzione dei costi invece che sull'efficienza e la qualità dei prodotti. Siamo sicuri che l'idea di far lavorare di più i lavoratori per farli guadagnare di più - alla base del nuovo modello contrattuale - sia la soluzione giusta?
Il nuovo modello contrattuale non va bene per tante ragioni, ma in questo momento di crisi è la soluzione peggiore possibile, perché non si può remunerare la produttività quando la produzione cala. Bisognerebbe aumentare i salari e invece con la moderazione salariale - implicita nel nuovo modello - non se ne parla nemmeno. Le imprese vogliono incidere sul modello contrattuale perché pensano che, finita la crisi, si troveranno in una situazione più forte. Peccato che nel frattempo molte imprese saranno morte.


Liberazione 03/03/2009

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