Gli operai dell'Alfa? «Decide il mercato»

04.03.2009 14:25

di Loris Campetti

su Il Manifesto del 04/03/2009

Fiat: Sergio Marchionne fa tremare Pomigliano

https://esserecomunisti.it/dati/ContentManager/images/Lavoro%20e%20economia/eccociopefiomegl.jpgFino a pochi mesi fa, quando l'amministratore delegato di una multinazionale diceva che tutto è nelle mani del mercato nessuno faceva una piega: tautologia. Oggi che ogni stato (con le dovute eccezioni, come nel caso dell'Italia) interviene a man bassa sui mercati in difesa delle «proprie» multinazionali, aziende e banche, con iniezioni di capitali usati a mo' di metadone, l'affermazione di Sergio Marchionne sul futuro dello stabilimento di Pomigliano è tutt'ache tautologica: è inquietante. «Il nostro obiettivo è quello di mantenere lo stabilimento di Pomigliano, a meno che non ci sia proprio un calo fondamentale della domanda». E per non essere frainteso, l'ad della Fiat ribadisce un concetto ben noto agli addetti ai lavori, cioè quegli operai dell'Alfa che si sono dimenticati che lavoro fanno, falcidiati come sono dalla cassa integrazione: a Pomigliano «il problema è più complesso e difficile» che non a Melfi, per il tipo di vetture che produce. In parole povere, il sostegno alla rottamazione fa riprendere la produzione delle vetture di fascia A, B e in parte C, cioè le piccole, e soprattutto quelle «ecologiche» a metano e gpl. Nessun sostegno, invece, alle Alfa Romeo prodotte a Pomigliano. La dichiarazione mercatista di Marchione è addirittura percepita come una minaccia dalle parti di Pomigliano. Ma se il mercato non è il dio unico, basterebbe molto poco per rimettere anche parzialmente al lavoro i dipendenti dello stabilimento campano. Basterebbe traserirvi un modello con qualche aspettativa di vita dentro questa terribile crisi. E' quello che sostiene la Fiom che continua a chiedere, insieme agli altri sindacati di categoria, un incontro al Lingotto per conoscere e discutere il destino dell'auto italiana. Un confronto che non può essere frantumato stabilimento per stabilimento, e soprattutto i sindacati non possono essere ridotti a soggetto passivo, buono solo per firmare le richieste di cassa integrazione. Nuovi modelli Fiat sono in arrivo, ma il timore è che vengano assegnati a stabilimenti esteri, dalla Polonia alla Serbia.
Ma chi sta aiutando la rottamazione? Sicuramente gli stabilimenti polacchi dove si producono Cinquecento (sono stati superati i 310 mila ordini) e Panda, spinte dagli incentivi di Berlusconi. Risultato, a Thychy gli operai sono tornati a lavorare anche al sabato. Anche in Italia, però, qualche bricola di metadone sta entrando nelle vene degli stabilimenti di Melfi (grazie alla ripresa della domanda di Grande Punto, in particolare dei modelli ecologici). Musa, Idea e Multipla, sempre in versione ecologica, hanno avuto una lieve risalita della domanda con conseguente riduzione, altrettanto lieve, della cassa integrazione a Mirafiori e a Cassino. Mentre Pomigliano deperisce, così come la Fma di Pratola Serra (Avellino), lo stabilimento che sforna motori grandi. Bisogna aggiungere che Melfi usufruisce indirettamente anche degli incentivi decisi dalla Merkel: 1,5 miliardi di euro a sostegno del rinnovo del parco auto a prescindere però dalle emissioni, cioè dall'inquinamento che producono. Siccome la Punto costruita in Basilicata sta andando bene sui mercati internazionali, quello tedesco in particolare, ecco svelata la riduzione della cassa integrazione a Melfi.
Ieri da Ginevra, in occasione del salone dell'auto, Sergio Marchionne non si è limitato a parlare di Pomigliano. In particolare è intervenuto per chiedere ai governi europei un approccio unitario alla crisi. Gli aiuti, ribadisce l'ad Fiat, devono essere «per tutti o per nessuno» e così dicendo punta il dito accusatore su Sarkozy («quando i due maggiori produttori francesi ricevono 6 miliardi di finanziamenti dal governo a tassi d'interesse non ottenibili dal mercato, la Fiat è messa con le spalle al muro»). E' come «fare a botte con le mani legate dietro la schiena». E Marchionne se la prende con l'Unione europea, colpevole di non aver giudicati illegittimi gli aiuti francesi a Renault e Psa (Peugeot- Cytroen). Non basta: l'ipotesi avanzata dal governo tedesco di soccorrere la Opel (i cui traballanti padroni americani della General Motors hanno annunciato l'intenzione di scendere sotto il 50%) attraverso un ingresso dei Länder nel capitale, sarebbe una violazione del mercato e un attacco alla libera concorrenza.
In attesa che l'amercana Chrysler superi l'esame con il governo americano, Marchionne si dice fiducioso sull'esito e dunque sulla prossima formalizzazione dell'accordo con il socio Usa. Ai giornalisti che gli chiedevano se la Cinquecento potrebbe vedere la luce negli Stati uniti ancor prima che l'accordo con Chrysler diventi operativo, l'amministratore delegato del Lingotto non ha smentito, limitandosi a rispondere «forse». Esclusa, invece, l'ipotesi di una distribuzione comune negli Usa con la tedesca Bmw. Come suo stile, però, Marchionne non si è sbilanciato sul nome del possibile nuovo socio, necessario per consentire alla Fiat di far parte del club esclusivo dei 6 produttori di automobili che sopravviveranno alla crisi, con una produzione di 5,5-6 milioni di vetture annue: «Parliamo con tutti quanti perché questo è il momento di portare avanti le alleanze». Con Bmw, per esempio, i colloqui su Alfa Romeo e Mini si stanno prolungando «per un discorso più tecnico che di sostanza». Un altro alleato internazionale della Fiat è il gigante indiano Tata con cui la collaborazione «sta andando molto bene». A dirlo, questa volta, non è Sergio Marchionne ma Ratan Tata che definisce la collaborazione con i torinesi «aperta, con vantaggi e reciproci interessi e faremo tutto il possibile per svilupparla al meglio». Fino a un accordo strategico, come qualcuno ha ventilato?

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