
Edilizia, la rivolta delle regioni rosse
di Cinzia Gubbini
su Il Manifesto del 08/03/2009
«Il piano Berlusconi rischia di essere uno scempio per l'ambiente»
Non perde tempo il premier Silvio Berlusconi. Ieri le prime indiscrezioni sul «piano casa» a cui sta lavorando il governo e nel pomeriggio l'annuncio: «Lo porteremo al Consiglio dei ministri già venerdì», ha detto il Cavaliere passeggiando per le vie di Roma. Un contentino a chi attacca il piano sostenendo che siamo di fronte a una piena deregulation dell'ediliza: «Non ci saranno abusi». Un pensiero alle giovani coppie in veste di Berlusconi-papà: «Servirà a chi ha una casa e nel frattempo ha ampliato la famiglia la possibilità di aggiungere una, due stanze o dei bagni con servizi annessi alla villa esistente» (chiaramente chi la villa ce l'ha). Ma subito dopo promette affari d'oro ai veri destinatari del progetto, i costruttori: «Il piano avrà effetti straordinari sull'edilizia».
Non c'è dubbio che la decisione di ampliare la possibilità di costruire sia una risposta alla polemica che nei giorni scorsi ha contrapposto il governo all'Associazione nazionale dei costruttori. Questi ultimi chiedevano che i soldi del Cipe non fossero utilizzati soltanto per opere faraoniche, ma anche per interventi più limitati che dessero fiato a un settore in crisi (nel quarto trimestre 2008 la produzione del comparto è scesa di 10 punti, dati Istat). Ma Berlusconi ha risposto picche, e ha destinato i 18 miliardi a un pacchetto di infrastrutture che prevede peraltro mega progetti come il Ponte sullo Stretto. Ma agli amici costruttori non si voltano le spalle. E così il premier fa sapere che l'esecutivo ha in mente di facilitare l'ampliamento di cubature residenziali e di velocizzare le procedure, saltando a piè pari gli uffici comunali e allargando le deroghe ai piani regolatori. L'Ance, infatti, plaude: «Ottima inziativa».
L'unico neo al piano furbetto pensato da Berlusconi sono le regioni. L'edilizia riguarda il governo del territorio e il governo non può imporre nuove regole senza contrattare. Non a caso il premier ne ha discusso in via preventiva con due regioni poliste: il Veneto- che discuterà il disegno di legge martedì - e la neo conquistata Sardegna. Ma le regioni del Pd già puntano i piedi. «Aspettiamo di vedere il progetto - commenta Damiano Stufara, assessore alla casa della regione Umbria e coordinatore degli assessori nella conferenza Stato-regioni - una riqualificazione degli edifici esistenti è fondamentale, ma se dobbiamo dare come contentino ai costruttori la possibilità di consumare ulteriore territorio allora non ci siamo. Ovviamente parlo in veste di assessore umbro, visto che questo piano non è stato ancora presentato in conferenza, ma da lì dovrà passare per forza». «Preoccupazione», esprime in una nota anche il presidente della regione Toscana Vasco Errani: «Un conto è costruire percorsi corretti di semplificazione delle regole, un conto è destrutturare le forme di governo sull'edilizia». «D'accordo con la necessità di rilanciare l'edilizia - dice il governatore della Liguria, Claudio Burlando - ma si dovrebbe partire da quella pubblica, e non dimenticare che questo è il paese dell'abuso edilizio». Anche Agazio Loiero, presidente della Calabria, dice di voler «attendere di leggere i dettagli del piano». Ma non condivide «la volontà di cambiare le regole, perché l'oltraggio al territorio ha costi sociali altissimi».
Chi non vuole aspettare di leggere un bel niente, e ha già capito dove va a parare il piano, sono le associazioni ambientaliste: «Non è certo questa la ricetta per rilanciare l'economia e fare dell'edilizia il motore di uno sviluppo economico che sa cogliere le sfide dell'innovazione - commenta Edoardo Zanchini, di Legambiente - Pensare di premiare con il 20-30% di aumento di cubatura interventi che verrebbero realizzati in deroga a Piani urbanistici e regolamenti edilizi significa rendere più brutte e invivibili le città italiane e premiare gli speculatori». «E' assurdo che mentre nel mondo occidentale per affrontare la crisi si pensa di ridare potere al pubblico, perché il privato ha fallito, in Italia si faccia esattamente il contrario», dice l'urbanista Paolo Berdini. «Una sola domanda: ma le nostre città, che già dalla metà degli anni '90 sono in mano ai privati grazie agli Accordi di programma, sono diventate più belle? La risposta è sotto gli occhi di tutti. No, sono più brutte e invivibili».
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