
Decreto sblocca-mafia: appalti senza concorso
Approvato dal Senato il decreto "anticrisi". Servirà agli amici degli amici, Appalti senza controlli
fino a 500mila euro, in attesa delle elezioni
Gemma Contin
O di chiedere alla magistratura di fare la sua parte in regime di accertamenti formali sulle gare d'appalto, in termini almeno di rispetto delle norme antimafia, quando le stesse gare e le stesse norme vengono spazzate via da due righe di un emendamento a un decreto, il numero 162/2008, che parla di tutt'altro: di «interventi urgenti in materia di adeguamento prezzi nei materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura e della pesca, di finanziamento delle opere per il G8 alla Maddalena, di adempimenti tributari per le Marche e l'Umbria colpite dagli eventi sismici del 1997».
Di questo si tratta, ormai, con il governo Berlusconi, basta un atto contrassegnato dalla "necessità e urgenza", formula con cui il Presidente della Repubblica deve controfirmare un provvedimento del governo, per far passare qualsiasi altra schifezza, legislativamente e "democraticamente" parlando, nel momento in cui il Parlamento lo deve trasformare in legge, pena la decadenza, perché la maggioranza obbediente della Camera prima, e poi di un Senato sottomesso, infilino qualsivoglia emendamento "oggetto dei desideri" del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteoli, delle Politiche Agricole Zaia, del ministro dell'Economia e delle Finanze Tremonti. Sottoscritto da Berlusconi, firmato da Napolitano, visto dal Guardasigilli (ministro di Giustizia) Alfano.
Dunque da adesso in poi non ci saranno controlli che tengano. Chiunque, senza analisi del sangue, per la modica cifra di mezzo milioni di euro, può accaparrarsi un pezzo di grande opera, di lavori pubblici, di strade da asfaltare, stadi da costruire, ferrovie da manutenere, ponti da progettare. Chiunque, si fa per dire. Di sicuro non ci saranno più controlli che tengano. Tranne il limite, imposto a forza dal gruppo dei senatori del Pd con il capoverso 7-ter, che vivaddio almeno «la stessa impresa non può comunque superare nell'arco di un anno l'importo di 500.000 euro per i lavori di cui al comma 7-bis».
Certo, va detto che una "grande opera" non è una cosetta da cento o cinquecento mila euro. Ma è pur sempre vero che una cosa è dividere un appalto pubblico da due o tre milioni in quattro-cinque-sei tranche da mezzo milione di lavori a testa, magari a un agglomerato di ditte che si sono messe d'accordo tra di loro (e con l'ente appaltante) senza che nessuno possa metterci becco; tutt'altro se si dovessero mettere in fila e d'accordo qualche decina di ditte a cui suddividere piccole quote al di sotto di quella soglia di centomila euro che in precedenza faceva da barriera all'assegnazione arbitraria da parte della pubblica amministrazione di lavori o forniture, oltre cui si doveva procedere in regime di bandi di gara da rispettare e requisiti da esibire e documentare, su cui poi si giocava il marchingegno delle offerte e delle aggiudicazioni.
Ma, come si sa, stiamo andando verso un "regime di semplificazione". Tutti gridano alla farraginosità delle norme, tutti sbraitano alla lentezza della pubblica amministrazione, tutti invocano celerità, semplicità, immediatezza, salto a piè pari dei controlli.
Se poi un qualsiasi prestanome incensurato e insospettato, mandato da un qualsiasi Lo Piccolo o Mandalà o Nicchi o Bidognetti o Schiavone o Piromalli o Condello, si presenta, forte di contatti politici locali, per aggiudicarsi mezzo milione di euro per i lavori dei parcheggi di lunga sosta al di qua e al di là del Ponte sullo Stretto, chi volete che se ne accorga? C'è un decreto governativo, varato per ragioni di necessità e di urgenza, adesso trasformato in una legge del Parlamento italiano, che gli consente di mettere le mani su tutto quello che vuole, con la scusa della «semplificazione delle procedure degli appalti nei lavori pubblici».
«Aprono il vaso di Pandora e ci mettono di tutto», ci ha detto Marco Filippi, senatore del Pd che presiede il gruppo dell'opposizione in Commissione Lavori Pubblici a Palazzo Madama: «E' possibile soltanto cercare di arginarli. E' quello che abbiamo fatto inserendo nel testo dell'emendamento quelle due righe che pongono il vincolo che ogni singola impresa almeno non superi il tetto di mezzo milione in un anno. Altrimenti, dietro la formula della semplificazione, si sarebbe andati ai lavori a gogò».
In ogni caso, l'innalzamento da cento a cinquecentomila euro per ogni singolo lavoro assegnato in regime fiduciario (il termine tecnico è a trattativa privata), ovvero senza gara d'appalto e senza base d'asta, sta a significare che si sono "privatizzati" ma anche "messi fuori controllo" la più parte dei lavori che gli Enti locali assegnano ogni anno a ditte piccole medie e grandi operanti sul territorio italiano. Un "affaruccio" da 2,6 miliardi di euro, «più o meno il 35 per cento di tutti i lavori pubblici», precisa ancora il senatore Filippi, che l'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) ha immediatamente promosso e abbracciato, sostenendo che si tratta di «una scorciatoia per i "piccoli" appalti». La misura nasce «per rendere più semplice il lavoro soprattutto ai Comuni piccoli, alleggerendo le loro procedure. Nelle dichiarazioni della maggioranza la norma è finalizzata a fronteggiare la crisi ma, in assenza di un termine esplicito -scrive il Sole 24 Ore - sembra destinata a diventare una riforma strutturale».
Si fregano le mani a Cosenza e Gioia Tauro, a Palermo e Messina, lungo l'intero percorso della Salerno-Reggio Calabria. E, perché no? anche a Napoli, a Roma, in tutto il Nordest e il Nordovest, laddove governano i leghisti Formigoni e Galan, che si apprestano a mettere le mani sui lavori dell'Expo l'uno e dell'eterno Mose l'altro. O ad assegnare l'intero arco di lavori delle Tav-Frecce Rosse destinate a sostituire la fallimentare operazione di "salvataggio" dell'Alitalia, e delle pedemontane-circonvallazioni-tangenziali-raddoppi di valico. E dappertutto - come diceva Leonardo Sciascia, uomo di acuta lucidità e lunghissima preveggenza - avanza così "la linea della palma".
Ma è bene non tralasciare anche gli altri "pezzi" di questo famigerato decreto 162. Ad esempio quelli che innestano gli automatismi per l'adeguamento dei prezzi delle materie prime destinati alle costruzioni: cementi, ghiaie, laterizi, eccetera «per fronteggiare gli aumenti repentini dei prezzi di alcuni materiali da costruzione verificatisi nell'anno 2008 (in deroga al decreto sugli appalti varato nel 2006 dal governo Prodi, ndr) il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti rileva (alla fine di ogni anno, ndr), con proprio decreto (senza passare più dal Parlamento) le variazioni percentuali su base annuale, in aumento o in diminuzione, superiori all'otto per cento, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi».
Visto? Anche qui: semplificazione, automatismi, niente controlli. Il ministro sua sponte decide gli adeguamenti. Qualcuno pensa che potranno esserci riduzioni? Ci saranno aumenti su aumenti, per via degli adeguamenti e degli automatismi. E i costruttori, e i cementieri, e chi fornisce il tondino di ferro, e i proprietari di cave, ringraziano. Qualcuno sa in mano di chi sono, ad esempio, le cave nei dintorni di Palermo, diciamo da Montelepre a Piano Zucco, sopra Partinico, a Giardinello? Qualcuno farebbe bene ad andare guardarsi le carte dell'Antimafia. Non di questa, presieduta da Beppe Pisanu, che finora ha brillato per la sua invisibilità, ma di quelle precedenti. E qualcuno dovrebbe anche andare a leggersi qualche sentenza della magistratura palermitana. Verrebbero fuori i nomi e i cognomi di intere famiglie che si sono scannate per il controllo di quelle cave: i D'Anna, i Di Maggio e, alla fine, gli uomini di Lo Piccolo. Per non parlare delle forniture dei materiali da costruzione in Calabria.
Ma anche qui la semplificazione, la celerità, il superamento delle lungaggini burocratiche, vengono prima di tutto. Prima della messa in sicurezza del territorio. Molto prima della lotta contro la criminalità organizzata. Molto ma molto prima della trasparenza nella pubblica amministrazione.
D'altra parte, se da un lato in Sicilia governa Raffaele Lombardo, successore di Totò Cuffaro e garante verso il governo di tutto quello che avviene in quella terra, e dall'altro, dopo la vittoria di Gianni Chiodi in Abruzzo, si è in attesa del cambio della guardia alle prossime elezioni regionali in Calabria, in Campania, nel Lazio, che cosa poteva fare Berlusconi per dare una mano ai suoi nel Sud, al di là e a prescindere dalle indagini della magistratura? I lavori pubblici sono sempre, oltre che la manna dal cielo per alcuni, una meravigliosa macchina da guerra elettorale.
Liberazione 24/12/2008
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