Crolla la ricchezza del sistema Italia: -1% nel 2008

03.03.2009 13:12

di Gemma Contin

su Liberazione del 03/03/2009

Mai così male da trent'anni. La crescita dell'Italia, misurata con i parametri del prodotto interno lordo, cioè della ricchezza prodotta dall'insieme di tutti i comparti economici (agricoltura, industria, commercio, credito, servizi, energia, pubblica amministrazione) nel 2008 non solo si è fermata, ma è tornata indietro di un punto percentuale tondo sui valori del 2007, a quota 1.572 miliardi di euro ai valori di mercato.
Significa che siamo più poveri dell'anno scorso di 15 miliardi di euro, che il Paese ha rinculato ai livelli del 1975; che le previsioni di un governo che porta sfiga, o è incapace, o ha un altro disegno in testa, sono del tutto campate in aria; che se non vogliamo continuare a opporre alla crisi (vera) i soliti pannicelli caldi (finti) della Banda Tremonti, bisogna abbassare lo sguardo e avere il coraggio di parlare di recessione.
Di vera e propria recessione, cioè di un Paese che non riesce a ripartire, le cui politiche economiche, finanziarie, energetiche, della spesa pubblica, del lavoro e dei redditi, lasciano il tempo che trovano. Persino le proiezioni sullo stato del Paese non sono attendibili, dato che il governo aveva previsto una frenata "soltanto" dello 0,6%: la metà del tracollo in corso.
Gli stessi che all'indomani dell'11 settembre 2001 dicevano: «E' il terrorismo», e negli anni successivi hanno detto: «E' la Cina», adesso sostengono: «E' la crisi globale». Sarà, ma non sono proprio Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti che, in ogni conferenza stampa a conclusione di incontri europei e internazionali sempre più allarmati, continuano a sostenere che il sistema italiano è meno esposto? E non è stato proprio l'ineffabile ministro dell'Economia a scherzare, non si sa più in che salotto televisivo o in quale intervista a giornali compiacenti, che se anche si perdono uno o due punti di Pil non è una tragedia, «ritorniamo indietro solo di qualche anno, mica al Medioevo»? E non sono sempre Berlusconi e Tremonti, con tutto il codazzo di cloni che li accompagna, a berciare che bisogna essere ottimisti e che sono invece i giornalisti e gli "economisti rossi" a fare gli uccelli del malaugurio, raccontando che le cose vanno male?
Ma secondo voi, perché si susseguono le riunioni dei capi di Stato e di governo sulla dimensione della crisi e sulle misure per affrontarla? e perché tutte le statistiche, ma proprio tutte, danno segnali negativi: dai dati sulla produzione industriale a quelli sui conti pubblici; dalla diminuzione del fatturato al taglio degli ordinativi; dalle cifre da capogiro sulla perdita di posti di lavoro alle percentuali sulla riduzione di spesa delle famiglie; fino al crollo del risparmio e al debito delle imprese finalizzato a ridimensionare le attività piuttosto che a fare nuovi investimenti?
E' bene allora chiarire che l'Italia è in netta controtendenza rispetto agli altri paesi sviluppati e ai partner europei, i quali, presi i provvedimenti necessari, possono rivendicare una crescita, pur contenuta, dell'1,3% la Germania, dell'1,1 gli Stati Uniti, dello 0,7% la Francia e il Regno Unito.
Non solo, ma secondo i tecnici Istat «in Italia la diminuzione del prodotto interno lordo, accompagnata a un calo del 4,5% delle importazioni di beni e servizi, ha determinato una diminuzione delle risorse disponibili pari all'1,8%». E il calo delle importazioni si accoppia a una restrizione anche nelle esportazioni, cioè nella capacità dell'Italia di essere presente e di presidiare i propri mercati all'estero. Secondo l'Istat infatti: «Le esportazioni di beni e servizi hanno registrato una diminuzione del 3,7%».
Arriviamo così ai consumi finali, cioè alla capacità di spesa degli italiani. Per l'Istituto di Luigi Biggeri: «I consumi finali registrano una contrazione in termini reali dello 0,5%, che arriva allo 0,9 per la spesa delle famiglie. Sul fronte dei consumi interni si è registrata una riduzione dell'1%». Mentre sul fronte della spesa delle imprese: «Gli investimenti fissi lordi segano una riduzione del 3% dovuta a una flessione del 5,3 nel settore dei macchinari e delle attrezzature, dell'1,8 in quello delle costruzioni, dell'1,2 nei mezzi di trasporto». Inoltre, spiegano gli gnomi di Via Cesare Balbo, «dal punto di vista dei settori il valore aggiunto dell'industria in senso stretto è diminuito del 3,2%, quello delle costruzioni dell'1,2, quello dei servizi dello 0,2».
In contemporanea, in Borsa continua la discesa delle quotazioni dei titoli finanziari, tirati giù dai bilanci negativi, da una politica economica europea che non trova il consenso dei mercati speculativi, dai dati non proprio rassicuranti di alcuni istituti del Regno Unito, come la holding bancaria britannica Hsbc, un colosso che dopo aver perso il 10% nelle contrattazioni della City, ha chiesto ieri una ricapitalizzazione da 12,5 miliardi di sterline, ha denunciato un calo del 70% degli utili, annunciato il licenziamento di 6.100 dipendenti negli Stati Uniti e deciso di mettere fine alle attività di prestito al consumo.
L'effetto sulle banche italiane non è mancato: giù le quotazioni del Banco Popolare, con meno 7,7 punti percentuali; di Unicredit, che ieri ha perso sette punti secchi; di Intesa SanPaolo, che ha chiuso a meno 5,68%. E poi tutti in rosso, per l'effetto domino che ha fatto chiudere al ribasso le contrattazioni su Ubi Banca, Mediobanca, Monte dei Paschi di Siena, Ugf Banca, neonata costola dell'Unipol che nell'ultimo mese ha lasciato per strada quasi il 40% del suo valore. La perdita finale a Piazza Affari è stata di circa sei punti: meno 6,02 Standard & Poor, meno 5,67 l'indice Mibtel.

Cerca nel sito

Contatti

Paritito della Rifondazione Comunista - Circolo Karl Marx Jesi Via Giacomo Acqua 3 TEL-FAX 0731-56776
Crea un sito internet gratis Webnode