«Ci volevano devoti alla fabbrica adesso ce la vogliono togliere»

03.03.2009 13:33

di Castalda Musacchio

su Liberazione del 03/03/2009

 

https://esserecomunisti.it/dati/ContentManager/images/Lavoro%20e%20economia/pomigliandarcocort.jpg«Cosa? Cosa? Ma qui è terribile. Come avete fatto a resistere?». «Scrivi. Scrivi. E' proprio un lager». Il rumore delle macchine soffoca le voci. Il centro di Pomigliano d'Arco è così: casette rosse basse, massimo tre piani, duecento metri più in là oltre il bar Martone (qui lo conoscono tutti) sorge "la Fabbrica". Quella che dà lavoro a ventimila persone, ventimila famiglie quasi tutte monoreddito, intorno alle quali venerdì scorso, in quella che è stata definita "una manifestazione di popolo", si è stretta tutta intera la cittadinanza. E si capisce perché. Basta guardare i loro volti. Operai giovani, massimo 35 anni, «è l'età media dei lavoratori della fabbrica di Pomigliano», ci dice Mimmo che ha sulle spalle una famiglia e mostra con orgoglio sul cellulare la foto del suo bimbo di sei mesi.
Quarantamila abitanti della provincia di Napoli. E' tutta qui Pomigliano, al centro dell'hinterland afragolese e l'agro nolano, con un abitato esteso senza soluzione di continuità a sud verso Napoli, a est verso Nola, a nord e ad ovest verso Caserta e Aversa; dietro, come un gigante muto, domina il Vesuvio. Arrivandoci si scorgono, a vista d'occhio, solo serre di tabacco e pomodori. E poi caseifici, quelli delle mozzarelle di bufala. Gli operai raccontano la loro storia. «Dopo quel piano, il piano Marchionne, lo conosci, vero? Dopo quel piano è cominciato tutto».
Dicembre 2008, la Fiat vara il piano Marchionne e gli effetti stanno diventando devastanti solo ora qui a Pomigliano. «Lo conosci il piano Marchionne?». Sì, forse. «Il piano - ci spiega Lello - prevedeva la rieducazione degli operai». Rieducazione? In che cosa consiste? «Eravamo costretti tutti i giorni a vedere la scena del film… quella con Al Pacino Ogni maledetta domenica in cui, ad ogni metro conquistato, si sente la voce del mister che elogia il fatto di essere parte di un team». Davvero? E questa sarebbe la rieducazione? «Per loro sì. Inviavano a casa ogni tre giorni un cd per le mogli degli operai, per incitarli a capire il ruolo che rivestivano all'interno dell'azienda». Ma questa non è rieducazione, questo è… «lavaggio del cervello». «Già hai capito tutto» sottolinea Nello. «E dire - incalza Mimmo - che alle pareti c'erano dei manifesti in cui si rappresentava un paesaggio con le pecore tutte bianche e una nera: quella non faceva parte del "team", erano i dissidenti, i sindacalisti, coloro che non sposavano la "mission" aziendale».
Gennaio 2008. In azienda entrano i vigilantes. Si tratta di persone adibite a un ruolo indistinguibile. «Prima di allora - continua Mimmo - portavamo i pasticcini in azienda per festeggiare gli onomastici, i compleanni, la nascita di un figlio. Dopo il piano Marchionne invece ci veniva tutto sequestrato all'ingresso. E venivano evitate, diciamo così, le riunioni. Due o più operai non potevano più scambiare una sola battuta tra loro. Non si poteva andare neppure in bagno senza il permesso del vigilante». La Fiat per questi guardiani deve aver speso moltissimo. Ce n'era uno ogni tre o quattro persone per ogni linea. Solo quelle di montaggio sono 25: si pensi a quanti vigilantes. «La situazione - continua Nello - è andata avanti così fino a quando gli operai, tutti, hanno capito che non non si poteva più lavorare così». E dire che la Fiat di Pomigliano, lo stabilimento intitolato a Giambattista Vico, impiega nella sua produzione soprattutto giovani, la media è appunto di appena 35 anni, il che significa aver a disposizione non solo una forza lavoro energica e disposta a puntare al futuro ma soprattutto investire sullo sviluppo di una Regione, la Campania, che è quasi "terra di nessuno", dove ad avere la meglio è la criminalità e dove, a detta di Bassolino, la Fiat garantisce l'11% del prodotto interno regionale. Dopo due mesi di "formazione" 316 lavoratori vengono "deportati" - come dicono qui - a Nola. E gli altri? Proclamano la mobilitazione benché le Rsu sindacali non svolgano più alcun ruolo all'interno dell'azienda e siano anche scomparse figure di intermediazione. Forse un triste preludio di quello sciopero virtuale che ora si è inventato il governo. Mimmo, insieme al giovanissimo Mario, dopo il blocco dell'autostrada dello scorso dicembre, è stato indagato a piede libero dalla Digos senza ragione alcuna, a parte il fatto di essere nel mirino dell'azienda.
Gli operai di Pomigliano sono andati di porta in porta e davanti ai centri commerciali per distribuire i volantini. I giornali tacevano ma intanto la protesta penetrava nelle istituzioni. Si sono mossi alcuni assessori regionali, tra di loro Corrado Gabriele, del Prc, e lo stesso Bassolino, almeno in parte. Ma se la città ha risposto massicciamente all'appello è soprattutto merito loro, dei lavoratori che hanno creduto che «la lotta può vincere», come ripete con orgoglio Nello. «Si è costituito un comitato cittadino - racconta - composto da forze politiche come Rifondazione, Sinistra democratica, Pdci; dalle istituzioni - la Regione, la Provincia, il Comune - e dalla Chiesa». Sì, la Chiesa. Il vescovo di Nola, Beniamino Depalma, è stato il più applaudito in quel corteo di venerdì che ha lasciato più di un segno nei ricordi di molti. «Non è mai capitato che i commercianti reagissero in questo modo» sottolinea ancora Nello. I commercianti? «Sì, venerdì non si poteva neppure prendere un caffè, era tutto chiuso in segno di protesta». Lo sciopero - precisano tutti - è stato deciso dalla Fim, dalla Fiom, dalla Uilm, dalla Fismic e hanno aderito tutti i sindacalisti di base, i Cobas, gli studenti, la città per dirla in una parola. Del resto Pomigliano si regge su quest'azienda. Si dice che progettino di ricavarci un bel centro commerciale al posto di quella fabbrica che al contrario dovrebbe e potrebbe essere il fiore all'occhiello della Fiat italiana. Nell'immaginario di molti, infatti, Pomigliano vuol dire Alfa. Dal 1938 l'Istituto per la ricostruzione industriale incaricò proprio l'Alfa Romeo di fondare nel Sud un centro industriale aeronautico e la scelta ricadde su Pomigliano. Ancora oggi, purtroppo, Pomigliano è legato alle sorti delle auto Alfa 147, 159 e Gt Coupè che escono da qui. Ma sono vetture escluse dagli incentivi statali perché le loro emissioni superano i 145 grammi di Co2.
E adesso? «Ora la crisi avanza», ci risponde Nello, «noi chiediamo risposte sul piano industriale. Si dice che vogliano costruire auto elettriche… a noi va bene, a patto che si mantengono gli attuali posti di lavoro». A livello ufficiale, tuttavia, non si muove foglia. Anche la Regione pare abbia stanziato dei sussidi per aiutare i cassintegrati a sopportare il disastro. Finora però i sindacati aziendali non ne hanno conferma. E il ministro Scajola? «Ha promesso pubblicamente - dice Mimmo - che a marzo si svolgerà un incontro tra il Governo e i vertici Fiat». Venerdì prossimo nello stabilimento organizzeranno un'assemblea pubblica. Ci sarà Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom e interverrà anche il segretario del Prc Paolo Ferrero. Bisogna fare presto, non permettere che l'attenzione dell'opinione pubblica scenda, altrimenti il destino sarebbe chiaro e tragico. Dalla cassa integrazione guadagni si passerà a dicembre a quella straordinaria, poi non resteranno che la "mobilità" e la disoccupazione. «Se l'azienda continuerà a non dare risposte - dicono da Pomigliano - la nostra mobilitazione ripartirà da Termini Imerese e giungerà fino al Lingotto di Torino». Montezemolo è avvertito.

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