Chi è antisemita

11.01.2009 13:28

di Mariuccia Ciotta

su Il Manifesto del 11/01/2009

Vediamo i corpi maciullati e sentiamo le ferite, non c'è nessun'altra notizia oggi da «prima pagina», e invidiamo, chi, molti giornali, parlano d'altro, immunizzati da un dolore pervasivo alimentato dalle immagini irriproducibili inviate dalle agenzie e on line. Non sono fotografie di guerra ma di un massacro, non sono l'atto di difesa di una nazione ma una rappresaglia, che giustifica il disumano. La percezione del dolore ha una doppia identità, c'è qualcosa che va al di là della visione dell'orrore, non solo i bambini (un terzo delle vittime), non solo gli uomini e le donne accatastati come rifiuti, c'è un'altra inquietudine che ci prende di fronte alla notizia, fonte Onu, della casa stipata di palestinesi e poi bombardata, eliminazione sistematica, macello programmato. Qualcosa che dice come tutta l'azione armata israeliana sia sotto il segno della «punizione» indiscriminata, non più «effetti collaterali», civili uccisi per accidente mentre l'obiettivo è Hamas, piuttosto la deliberata intenzione di fare strage del nemico inteso come popolo intero. E che tutto questo avvenga per calcoli elettorali - la dimostrazione che Olmert, Livni e Barak sono più muscolosi di Netanyahu - e per anticipare la presidenza Obama, dà la misura di qualcosa di molto diverso dal diritto di Israele alla difesa.
Gaza siamo noi, abbiamo detto, è giusto. Identificarsi con le vittime, però, è facile. Il problema è che Israele siamo noi. Chi ci accusa (Polito ieri sul Riformista, con argomentazioni taroccate) di dare spazio a sentimenti antisemiti quando critichiamo la politica di massacro israeliana, si trova a condividere la corruzione di un'entità materiale e simbolica che ci appartiene. Abdica a se stesso perché Israele fa parte della nostra storia, la sua memoria è la nostra, nasce dentro l'Europa ne è l'estensione. Come si può non vedere che quell'indiscutibile diritto degli ebrei alla loro terra è minato innanzitutto dai loro governanti e da chi indulge nella giustificazione della barbarie? Invece di riproporre il solito ritornello di chi è contro e pro lo stato di Israele, di giocare a chi ha cominciato prima, perché non si difendono i principi e gli ideali che sessant'anni fa hanno dato ai sopravvissuti del nazismo un luogo per vivere? E che non avrebbe dovuto toglierlo ad altri.
È la cultura della morte adesso a prevalere, la dissipazione di un comune sentimento di opposizione allo sterminio. Le manifestazioni che ieri hanno attraversato il continente europeo sono un gesto di rifiuto, un altolà al cinismo politico che attende i risultati della carneficina. Chi ha vinto e chi ha perso. La striscia di Gaza è una tomba dove giacciono le nostre speranze. E non ci sarà nessuno che senza vergogna potrà equivocare il vero significato della mobilitazione generale perché si fermi la mattanza, in assenza di un'iniziativa dell'occidente, prima di tutto dell'America, che il presidente eletto vuole ricondurre alla democrazia dopo otto anni di violazione dei diritti umani, prolungati dalla scia di sangue in Palestina. Il mondo dovrà ripartire da lì, dai quei 360 km quadrati di territorio, per conquistarsi il diritto al futuro.

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