Cgil al governo: pronti alla piazza

22.01.2009 13:36

di Antonio Sciotto

su Il Manifesto del 22/01/2009

Epifani oggi incontra imprese ed esecutivo: senza soluzioni alla crisi, «manifestazione» il 4 aprile. Servono investimenti nell'industria e per l'ambiente, risorse per gli ammortizzatori. Oltre 100 mila i precari pubblici causati dall'esecutivo. Alla Marcegaglia: «Privo di senso parlare di modello contrattuale»

La Cgil è pronta a scendere di nuovo in piazza, per chiedere interventi contro la crisi: il primo giorno utile, indicato ieri dallo stesso segretario Guglielmo Epifani, si colloca nei primi di aprile, il 4. Un sabato, una manifestazione - «una grande manifestazione», spiega lo stesso Epifani, e poi precisa: «non è uno sciopero». La data non è vicina, mancano più di 2 mesi, ma intanto a breve, il 13 febbraio, si muovono meccanici e lavoratori pubblici. L'intera confederazione è compatta nella lettura degli avvenimenti: «La crisi si sta allargando e aggravando, ma non vediamo da parte del governo un progetto per affrontarla», ha denunciato il segretario davanti ai giornalisti, presentando le richieste che porterà oggi all'incontro di Palazzo Chigi con imprese ed esecutivo. «Noi prevediamo che il picco si toccherà tra marzo e giugno». La convinzione che la recessione si preannunci «di lunga durata», è segnalata dal fatto che «sono in flessione gli investimenti, i beni strumentali e durevoli», confermando «le difficoltà di tutti i settori: auto e mezzi di trasporto, elettrodomestici, moda, ma anche tutti quei macchinari che servono per altre lavorazioni». Insomma, la crisi colpisce il cuore del made in Italy.

Le proposte anti-crisi
L'analisi del segretario della Cgil parte da una critica al governo: «Prendiamo il settore auto: è mai possibile che siamo l'unico paese in cui il governo non fa nulla? Ed è ancora più grave rispetto al fatto che altrove invece intervengono. Dall'America all'Europa, c'è l'idea di investire su innovazione e ambiente: e anche qui, siamo l'unico paese in cui non si vede un'idea, in cui l'esecutivo non pensa». Ecco dunque le proposte Cgil: «Innanzitutto bisogna permettere alle imprese e alle famiglie di poter avere una continuità nell'accesso al credito: gli aiuti alle banche non devono essere fini a se stessi, ma con l'obiettivo che sia concesso il credito a chi lo chiede. Ci sono anche aziende sane che hanno difficoltà con le banche, mentre queste ultime continuano ad applicare tassi molto lontani da quelli ufficiali. Il secondo intervento riguarda gli ammortizzatori, e certo non è un buon segnale che l'incontro previsto con le Regioni sia saltato: ci vogliono risposte certe e rapide, inserite in una politica industriale, altrimenti sono risposte parziali».
La Cgil giudica insufficiente il miliardo e 26 milioni previsti finora, attende gli 8 miliardi in due anni promessi da Tremonti, dice che «sia le Regioni che il governo devono metterci del loro», e chiede «l'estensione a tutti, anche i precari». Ancora, «è urgente che il governo apra, come richiesto dai sindacati, i tre tavoli sui settori auto, chimica e moda, fortemente a rischio».

L'allarme precari
L'aggravamento della crisi è segnalato da diverse previsioni: sia la Ue, che la Confindustria e la Confcommercio, prevedono per quest'anno un boom della disoccupazione, sopra l'8%. Un carico di 2 milioni di disoccupati, tra i 500 mila e i 600 mila in più. «E sono dati che riguardano solo la crisi - dice il segretario confederale Fulvio Fammoni - non tengono conto di quelli che sta creando e creerà il governo nel pubblico impiego, più di 100 mila persone». Il calcolo è presto fatto: 40 mila perderanno il posto il primo luglio di quest'anno, quando scatta il decreto Brunetta; altri 60 mila, via via entro il 31 dicembre, a seconda del compimento di 3 anni di contratto. E non basta: c'è qualche altra decina di migliaia di collaboratori, che perde il posto già a partire da oggi, e poi si devono aggiungere almeno altri 20 mila precari della scuola, che perderanno il lavoro dal primo settembre, a causa dei tagli all'istruzione. Insomma, siamo vicini alla maxi-cifra di 150 mila posti persi solo nel pubblico impiego, e solo a causa dei pesantissimi tagli decisi dai ministri Tremonti, Brunetta e Gelmini.
La Cgil chiede dunque di bloccare i tagli al pubblico, e comunque di assicurare anche a questo settore gli ammortizzatori. C'è poi la critica al decreto 185: «Va cambiato, perché è incostituzionale: lega l'erogazione di un servizio pubblico e universale, come l'indennità di disoccupazione, a un pagamento privato, l'integrazione degli enti bilaterali: ci sono settori che l'ente neanche ce l'hanno. E allora, manteniamo pure le integrazioni, ma svincolando il diritto al servizio pubblico». In mancanza di soluzioni, «la Cgil solleverà il tema di incostituzionalità presso la Corte costituzionale».
Si chiedono soluzioni anche per i migranti: «il decreto flussi va cambiato», lo testimoniano le cause vinte dalla Cgil. E c'è il capitolo social card: «Ma perché il governo non carica le somme in conto corrente o in busta paga, lasciando la card solo per gli sconti? - chiede Epifani - Per i pensionati non si è fatto nulla: il potere di acquisto, come quello dei dipendenti, è danneggiato dal fiscal drag, non sono stati adeguati gli assegni, non si è fatto il paniere Istat, non ci sono fondi per i non autosufficienti».

Contratti: niente da fare
«La riforma del modello contrattuale oggi è assolutamente priva di senso: non può essere la nostra priorità». Epifani non raccoglie l'«ultimissimo» appello fatto ieri (e poi oggi in un'intervista al Sole 24 Ore) da Emma Marcegaglia. Il segretario dà un'immagine eloquente: «Se andassimo davanti a una fabbrica e dicessimo ai lavoratori "abbiamo il nuovo modello", ci prenderebbero per matti. Preoccupiamoci della crisi, di chi sta perdendo il posto, di quelli che hanno bassi assegni di cassa integrazione». E a Marcegaglia, che ieri ribadiva di «essere venuta incontro alla Cgil, unificando il tavolo», Epifani risponde che «quel documento falsamente universale, in realtà nasconde 10 modelli: uno per il pubblico e uno per il privato, uno per la Confcommercio e l'altro per la Confindustria, e così via». Insomma, pare proprio che il «ripensamento, anche dell'ultimo momento», auspicato da Marcegaglia non ci sarà. Così la presidente di Confindustria lancia la stoccata finale, un colpo basso: «Gli altri sindacati stanno mostrando realismo e senso di responsabilità. Mi auguro che Epifani non guardi ad altri obiettivi, come le elezioni europee».

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