Carceri, affari privati in atti pubblici

22.01.2009 13:26

di Patrizio Gonnella *

su Il Manifesto del 22/01/2009

«Nuovi istituti, per decreto legge», ha promesso il premier dopo aver cestinato la riforma della giustizia. Torna l'ombra della gestione affidata agli imprenditori. Castelli ci provò nel 2001, spendendo molti soldi senza posare neppure una pietra. Mentre Londra e Washington tornano a fidarsi dello stato I penitenziari italiani scoppiano. 58mila detenuti, 43mila posti letto. E il ministro riapre il capitolo privatizzazione

Crescono i detenuti in modo inversamente proporzionale alla cultura giuridica di questo Paese. Oggi sono 58 mila. I posti letto sono solo 43 mila. Ogni mese entrano nelle prigioni italiane circa mille nuovi detenuti. Sino a poco tempo fa, la popolazione reclusa cresceva di mille unità l'anno. Erano 61 mila qualche giorno prima dell'approvazione del provvedimento di indulto. Lo saranno nuovamente tra tre mesi. Tra le proposte del ministro della giustizia Angelino Alfano per affrontare il sovraffollamento vi è quella dell'istituzione di un commissario straordinario all'edilizia penitenziaria con poteri speciali tali da superare a suo dire le pastoie burocratiche e i contenziosi amministrativi che rallentano la costruzione di nuovi istituti penitenziari, ritenuti dal ministero indispensabili vista l'emergenza sovraffollamento.
Il ministro della giustizia si riaffida quindi all'edilizia penitenziaria e c'è chi mormora al bluff del coinvolgimento dei privati. Era il 30 gennaio 2001 quando con decreto il ministro Fassino dispose la dismissione di 21 carceri, incaricando il direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) di reperire le aree ove localizzare nuovi istituti penitenziari da costruire in sostituzione di quelli che sarebbero stati dismessi. Furono stanziati 400 milioni di euro. Fu bandito un concorso di architettura per idee avente a oggetto l'elaborazione di un prototipo originale e inedito di istituto penitenziario di media sicurezza a trattamento penitenziario qualificato. Era la primavera del 2001.
L'istituto-modello avrebbe dovuto prevedere duecento posti letto con celle a due posti dotate di servizi igienici oppure a quattro posti con spazi per il pernottamento e il soggiorno. Di quel concorso non è rimasta traccia. Successe che fui personalmente contattato da un ditta torinese interessata, dopo le aperture di Piero Fassino ai privati, a costruire e gestire un carcere. Voleva sapere se Antigone fosse disponibile a una consulenza gestionale. Non lo eravamo. Nel frattempo, la allora Cdl vinse le elezioni. Così nel 2002 ci provarono il nuovo guardasigilli Roberto Castelli e il premier Silvio Berlusconi a lanciare il tema della privatizzazione. Quest'ultimo al rientro da una visita in Cile elogiò «l'ottimo» modello penitenziario privato cileno. Reagirono malamente i sindacati autonomi di polizia penitenziaria. Giovanni Tinebra, allora capo del Dap, al rientro da una visita-studio negli Usa affermò pubblicamente: «I primi nove carceri saranno realizzati con fondi dello Stato, messi a disposizione dal ministero delle Infrastrutture. Per tutti gli altri, invece, le risorse verranno raccolte attraverso la Patrimonio S.p.A.. Saranno fondi messi insieme grazie alla dismissione della vecchie carceri». Non successe nulla anche quella volta. Nessun privato fu disponibile a mettere un centesimo. Nessuna dismissione di carceri vecchie fu realizzata. O meglio qualcosa successe. Fu costituita da Castelli e Tremonti - anche allora ministro dell'economia - una società, la Dike Aedifica, il cui operato ha interessato non tanto i privati quanto la magistratura. Uno dei suoi consulenti, Giuseppe Magni, già sindaco leghista di Calco (Lecco), fu indagato per concorso in corruzione e istigazione alla corruzione. Alcune immagini lo riprendevano mentre si vantava di decidere lui i vincitori delle gare d'appalto. L'Espresso definì l'inchiesta come la seconda tangentopoli carceraria. La prima risaliva agli anni '80. Protagonista fu il ministro dei lavori pubblici Nicolazzi. Era lo scandalo delle carceri d'oro. I soldi finivano prima della costruzione di un carcere. La Dike Aedifica, al 95% della Patrimonio S.p.A. (controllata dal governo), era amministrata da Vico Valassi, anche lui lombardo e amico del ministro.
La Corte dei Conti il 28 giugno 2005 sostenne che «la costruzione di nuove carceri, la ristrutturazione e l'ampliamento di quelle esistenti assorbono ingenti risorse finanziarie, ma non riescono a migliorare in modo tangibile le condizioni di vita dei detenuti, a causa del continuo aumento del loro numero. Gli stanziamenti del 1986, per complessivi 2.600 miliardi di lire, sono stati diluiti fino al 2000 vale a dire in un arco temporale di ben 13 anni, pari a più di tre volte quello originariamente previsto». In realtà la Convenzione non fu mai formalmente approvata. Del project financing prima e del leasing immobiliare dopo non se ne fece nulla. Un privato di buon senso è disponibile a mettere i soldi per costruire un carcere solo se può guadagnare dalla successiva gestione, oggi chiaramente preclusa dalle leggi e dalla Costituzione. In quegli anni provarono a privatizzare il carcere di Castelfranco Emilia affidandolo alla Comunità di San Patrignano. Fortunatamente anche quella volta il progetto fallì.

* presidente di Antigone

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