AntiWalter all'attacco ma alla fine votano sì

04.02.2009 13:16

di Daniela Preziosi

su Il Manifesto del 04/02/2009

D'Alema tace, Bersani guida il dissenso

«D'Alema batti un colpo», avevano chiesto i piccoli partiti della sinistra a quelli che nel Pd - capofila il presidente di Italianieuropei, appunto - hanno apertamente detto no allo sbarramento al 4 per cento per sedere all'europarlamento. Se un colpo c'è stato, ieri mattina alla riunione dei deputati democratici, non è stato molto più che un colpo di tosse. Ma qui la cronaca si divide in due versioni: quella che racconta che ieri gli antiWalter hanno combattuto una battaglia «a futura memoria» rimanendo disciplinatamente fedeli alla tregua preelettorale, quella che registra un dissenso interno sfilacciato e senza regia, che dissolve in ordine sparso.
La riunione che doveva decidere se il Pd a Montecitorio avrebbe approvato o no la riforma della legge elettorale per le europee, è finita con cinque no (tutti prodiani tranne uno: Arturo Parisi, Fausto Recchia, Mario Barbi, Antonio La Forgia e Walter Tocci, della sinistra), due astenuti (i dalemiani Gianni Cuperlo e Barbarba Pollastrini). Massimo D'Alema non ha partecipato al voto, e così ha fatto l'ex tesoriere ds Ugo Sposetti, convinto ma solo alla fine a ritirare un emendamento che avrebbe consentito anche ai partitini di ricevere i rimborsi per la campagna elettorale. Problema che resta aperto, però: allo stato, le liste che non sono certe di raggiungere il 4 per cento rischiano di non poter neanche partecipare alla competizione. Passa dunque a stragrande maggioranza la lineadi Veltroni, ribadita con piglio pugnace in apertura di riunione da Antonello Soro e Dario Franceschini. Ma ribattuta a stretto giro con altrettanta grinta da Sposetti, il primo a parlare, il primo a dire no al 4 per cento. No netto anche da un altro dalemiano, Gianni Cuperlo, durissimo contro «l'opportunità della riforna» e contro la caccia alle streghe: «non c'è chi rema contro al Pd e chi a favore, ma se c'è chi ha riserve sulla gestione delle vicende è per il timore che certe scelte danneggino il partito»). D'Alema tace - del resto quello che pensava l'ha affidato domenica scorsa alle colonne Messaggero, ed era un no allo sbarramento al 4. Ma guidare il dissenso interno, ieri più del solito, è Pierluigi Bersani, che alla fine dice sì al 4 per cento, negando una divisione interna fra «coalizionisti» e «bipartitisti». E però attacca a fondo la «gestione politica della vicenda». Perché, spiega, «resta il nodo: c'è l'idea che così pensiamo solo ai nostri interessi». Quindi: «Da qui alle europee rendiamoci più utili sulla questione fondamentale della crisi». Quanto alla sinistra, passi «fissare l'asticella alta, ma facciamo che la pedana sia la stessa per tutti». Fuor di metafora, alla fine in aula passerà un ordine del giorno che salva i piccoli dalla proibitiva raccolta delle firme per la presentazione delle liste. Un ramoscello d'ulivo verso la sinistra, aAlla cronaca passa come 'salva-Vendola' e lo firmano un po' tutti: D'Alema, Pollastrini e Livia Turco, ma anche Marina Sereni, Lanfranco Tenaglia, Rosy Bindi, Ermete Realacci e Gianni Vernetti.
Enrico Letta dice sì, ma anche lui con tanti dubbi sull'opportunità della riforma: «Rischiamo che si trasformi in un piccolo indulto, del quale ci prendiamo solo i danni politici e nell'opinione pubblica passa l'idea che l'intesa ci interessa per la sopravvivenza». Alla fine anche i sì convinti che arrivano portano la stessa avvertenza sulla «gestione politica»ovvero mediatica: da Paolo Gentiloni a Piero Fassino. A Rosi Bindi, che sottolinea l'importanza di «guardare a sinistra»: gesto che perà rischia di diventare un esercizio di stile, se nel frattempo la sinistra viene azzerata. Livia Turco, iscritta di Red ma anche dell'associazione A sinistra, invece attacca: va bene «il superamento della frammentazione, la vocazione maggioritaria e l'importanza del dialogo sulle regole del gioco». Ma c'è «una questione di principio sulla natura della nostra democrazia e sulla difesa della coerenza dei valori costituzionali: difendiamo la democrazia inclusiva oltre che la governabilità». Ovvero, va bene «il superamento dell'Ulivo», ma il Pd deve essere «forza di coesione». Magari evitando «il paternalismo» di quelli che vogliono spiegare alla sinistra come deve fare la sinistra. Alla fine, però, anche lei vota sì al 4 per cento.

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