Alzare l'età per le donne nel pubblico, Veltroni dice «sì»

22.01.2009 13:42

di S. F.

su Il Manifesto del 22/01/2009

Il leader Pd in sintonia con Berlusconi e Sacconi: «Su base volontaria, è la flessibilità di cui c'è bisogno»

Il momento è sospetto. Come sospetto è il fatto che d'improvviso ci si appelli ad una presunta «discriminazione», per la quale le donne impiegate nella pubblica amministrazione possono andare in pensione (di vecchiaia, ossia per requisiti anagrafici) cinque anni prima dei colleghi uomini (60 anni contro 65: «un fossato da colmare»). Del tasso di occupazione femminile in Italia (ai livelli più bassi d'Europa), come del livello dei salari (le donne guadagnano in media il 25% in meno degli uomini), non importa un bel nulla a nessuno. Non solo. Recentemente il governo ha persino abrogato la legge contro la pratica diffusa del fare firmare le dimissioni in bianco al momento dell'assunzione, voluta dal precedente governo di centrosinistra, che allo stato non costava un euro ma che non piaceva (e si capisce il perchè) alle imprese.
A parlare di «discriminazione» era stata l'Unione europea, ma il governo ha colto la palla al balzo, e ha iniziato con il martellamento mediatico. Con l'obiettivo verosimile di rimettere mano, prima di quanto non sembri, alle pensioni di tutti. Nulla di obbligatorio, per ora. Lo ha detto Berlusconi due giorni fa, e Veltroni, leader della cosiddetta opposizione, la pensa alla stessa maniera. Lo ha detto ieri intervistato dal quotidiano di Confindustria, il Sole24Ore: «Che un lavoratore possa andare in pensione prima con un assegno più basso, o dopo a fronte di un assegno più alto, credo faccia parte della flessibilità di cui abbiamo bisogno». Scelta volontaria dunque, come annunciato anche dal premier Berlusconi. Ma a volere proprio essere precisi, è «da oltre trent'anni che le lavoratrici hanno la piena libertà di scegliere se proseguire o meno l'attività lavorativa fino a 65 anni e oltre, come i colleghi uomini», notano diverse lavoratrici Cgil (metalmeccaniche e del pubblico impiego) in una lettera comune.
Il contesto, naturalmente, è quello della crisi, i giorni sono quelli della ricerca spasmodica (e in ogni dove) di soldi freschi per fare fronte alla recessione che avanza. La cosa non stupisce più di tanto: ogni volta che c'è bisogno di soldi si parla di pensioni. «Eppoi - aggiunge Veltroni - va rispettato quanto previsto per l'adeguamento dei coefficienti che darebbe un po' di respiro ai conti pubblici». Tradotto: previdenza ancora più light per chi matura i requisiti con il sistema contributivo (sempre che nel frattempo sia riuscito a spuntarla in quella giungla di precarietà che è oggi il mondo del lavoro). Scomparsa dall'agenda governativa è invece la definizione dei lavoratori cosiddetti usurati, coloro per i quali - nonostante l'innalzamento d'età varato dal governo Prodi - resterebbero in vigore i precedenti requisiti. «E' grave che il ministro Sacconi voglia fare decadere la delega», ha detto ieri il segretario generale Cgil, Epifani. Secondo Giorgio Cremaschi, «tagliare le pensioni in questo momento per finanziare la cassa integrazione è un'iniquità sociale, ripropone la guerra tra i poveri, ed è anche una misura stupida e inefficace perchè nasconde i costi e le dimensioni della crisi».

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