Addio ad Harold Pinter, gentlemen e sovversivo

27.12.2008 13:58

 

Addio ad Harold Pinter, gentlemen e sovversivo

Gentlemen e sovversivo

di Gianfranco Capitta

su Il Manifesto del 27/12/2008

Addio al grande Harold Pinter

Il giorno dopo aver ricevuto a Firenze una laurea honoris causa, aveva detto: «Ho saputo quello che succedeva a New York dagli schermi televisivi dell'aeroporto, proprio mentre tornavo dall'Italia a Londra. E ho pensato subito che era prevedibile, in qualche modo inevitabile, dopo tanti anni di terrorismo di stato, che potesse esserci una reazione così violenta. Il popolo americano non immaginava neppure che ci potesse essere un odio così profondo nei suoi confronti, perché è tenuto nell'ignoranza più assoluta delle azioni del suo stesso paese». Era l'undici settembre del 2001. Qualche giornale americano pensò bene di scrivere, nei giorni successivi, che l'attacco alle Torri gemelle era cominciato dalle parole di Harold Pinter.
La morte dello scrittore, a 78 anni, alla vigilia di natale come Beckett, oltre al dolore dà una grande sensazione di sgomento e di solitudine. Con lui scompare il più grande scrittore contemporaneo di teatro, ma di questo ci consola il fatto che i suoi testi sono una eredità corposa, e quanto mai viva e destinata a vivere sulle scene. Quello che verrà a mancare è invece un testimone così lucido dei nostri tempi, tanto rigoroso quanto spietato nel coglierne i falli e gli orrori, le debolezze, gli opportunismi, le colpe. Un intellettuale di successo e di fama mondiali, insignito di moltissimi premi e riconoscimenti fino al Nobel per la letteratura di tre anni fa, applaudito nei teatri di tutto il mondo, oggetto di infiniti studi e saggi presso tutte le accademie, ma che non ha mai rinunciato alle sue opinioni, alle sue denunce, al suo essere, oltre (e forse ancor prima) che uno scrittore, un «cittadino», non solo del Regno Unito, ma del mondo. Ha scritto decine di capolavori per il teatro, ha sceneggiato film di straordinario successo popolare e di eccellenza critica. Ma non si è mai sentito pacificato dal successo.
Ha mantenuto lo spirito ribelle dell'adolescente di origine ebraica minacciato dai fascisti ad Hackney, e che non volle fare il militare.
E mentre centellinava la biopsia del conflitto interpersonale nei suoi testi teatrali, ha continuato incessantemente a decifrare i conflitti tra le classi, le economie, le nazioni. Ha denunciato i fascismi e le oppressioni scrivendo articoli, capeggiando sit in davanti alle ambasciate londinesi, partecipando a delegazioni di Amnesty (dopo quella in Kurdistan assieme ad Arthur Miller, causò un incidente diplomatico clamoroso all'ambasciata Usa ad Ankara).
Era un uomo di grande carattere Harold Pinter, dietro i modi cortesi e impeccabili di un gentleman. Amava il cricket, il tennis e lo squash che compaiono nei suoi lavori. Aveva un'intesa strettissima con la moglie Antonia Fraser, storica e militante di sinistra anche lei. Ma si doleva di sentirsi emarginato in patria, cosa quasi ovvia date le sue posizioni politiche: ma forse anche per questo per questo si batteva contro tutte le discriminazioni, contro tutte le violenze.
Nell'arco della sua scrittura, in quelle magistrali indagini sui rapporti tra le creature, aveva pubblicato il suo quasi ultimo testo teatrale proprio alla fine del novecento, Ceneri alle ceneri. E nel rapporto ora fragile ora violento tra un uomo e una donna, faceva emergere la colpa maggiore del secolo, l'orrore dell'olocausto. L'understatement segnava la sua scrittura, mentre con grande foga sosteneva le sue convinzioni civili. Ogni volta si informava con grande affetto delle sorti del manifesto. E si raccomandava. «Teniamoci in contatto!».

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