
11 Gennaio 1999-11 Gennaio 2009 Fabrizio De André, la bomba spirituale
Bomba spirituale
di Doriano Fasoli *
su Il Manifesto del 11/01/2009
Oggi ricorre l'anniversario della scomparsa del cantautore anarchico genovese, autore, dal 1961 al 1998, di 15 album fuori dagli schemi. Accompagnò con la sua voce la rivolta e il riflusso, dalla parte di quelli che «morirono a stento»
«La pietà si appoggia al suo bombardamento preferito/ e perdona la bomba». Con queste parole di Gregory Corso, il poeta che nel 1960 aveva provocatoriamente scritto una poesia d'amore alla bomba atomica «Incalzatrice della storia/ Freno del tempo Tu Bomba/ giocattolo dell'Universo», Fabrizio De Andrè suggella la Storia di un impiegato (1973), l'ottavo dei suoi 15 album, perché sia chiara, sin dall'inizio, la contraddizione implicita in ogni sovvertimento che, il più delle volte, non porta ad una società nuova, ma alla sostituzione di un potere ad un altro. E quella che doveva essere una riflessione sul 68, sulla possibilità di cambiare la realtà, di ridisegnarne i luoghi, diventa anche una lucida previsione dello scenario politico italiano negli anni 70, durante i quali il terrorismo isolato avrebbe rafforzato il potere delle istituzioni che, intanto, «perdonavano» le bombe, mentre spariva dietro l'orizzonte ogni prospettiva di cambiamento.
Roberto Danè introdusse quell'album con uno scritto in cui venivano ripercorse - 5 anni dopo il Maggio - le tappe principali della riflessione sul 68, il potere, la libertà, l'uguaglianza e, dietro a tutto questo, sul lavoro poetico e musicale che ha accompagnato il disco. Anche dal punto di vista poetico, dell'elaborazione dei testi, la citazione di Gregory Corso appare significativa, come riferimento alla parte beat della letteratura nordamericana degli anni 60, a cui appartengono anche Ginsberg, Ferlinghetti e Burroughs, con la loro ricerca di un linguaggio ulteriore, che dia parola ad aree ormai allargate di coscienza, che coniughi in una dimensione nuova realtà, sogno e viaggio mentale con le sue esperienze estreme, sfuggite ormai alle forme consuete della narrazione. Per questo Danè insisteva, nell'introduzione, sull'importanza della scelta del linguaggio in quel disco: «Un linguaggio moderno, staccato decisamente dalla forma di racconto per approdare a delle immagini di tipo psicologico fino a delle immagini oniriche di stampo reichiano» e ancora «De Andrè e Bentivoglio hanno differenziato con particolare cura il linguaggio della canzone del carcere e della traduzione della canzone del Maggio in rapporto a quello delle altre canzoni del disco».
Ed infatti la «Canzone del Maggio», liberamente tratta da un canto del 68 francese, e «Nella mia ora di libertà» sono le più narrative dell'album, distese sia dal punto di vista della versificazione che da quello della melodia, forse perché trattano di due momenti di consapevolezza, mentre lo svolgimento della vicenda, con i suoi dubbi, le resistenze, le scelte e le rivelazioni traumatiche, le contraddizioni che «esplodono», è affidato a canzoni dal ritmo sincopato, ad un linguaggio involuto carico di metafore continue ed ossessive («Al ballo mascherato», «Il bombarolo»). Nella «Canzone del padre» De Andrè riesce a raccontare alcuni stati di coscienza molto intensi e nascosti, attraverso una immersione nelle regioni del sogno, non a caso accompagnata da un cullante ritmo in sei ottavi, e in «Verranno a chiederti del Nostro amore» il nuovo rapporto tra testo e musica, riscontrabile in tutto il disco, raggiunge un grado di equilibrio molto alto, che acquisterà tanto più fascino e spessore nel 1979, con gli arrangiamenti della Pfm.
In realtà De Andrè, ebbe occasione di ricordare Romano Giuffrida, non amava però la rivoluzione di quelli che ancora Bakunin chiama i «rivoluzionari dottrinari...nemici dei poteri attuali solo perché vogliono impadronirsene». De André principalmente, credeva, infatti, nella rivoluzione stirneriana dell'individuo. Non è un caso che, come esergo al disco Le nuvole del 1990, De Andrè aveva posto una frase di Samuel Bellamy, pirata alle Antille del XVIII secolo: «Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare». De Andrè, insieme al filosofo della sinistra hegeliana Max Stirner, credeva essenzialmente nell'individuo come unica realtà e unico valore della storia. Al «noi» collettivo - sostiene Giuffrida -, De André contrappone un «noi» fatto della somma di tanti «io» che, eventualmente e momentaneamente, possono mettersi insieme per il raggiungimento di un obiettivo comune, pronti però a rifarsi unicità una volta che lo stesso venga raggiunto. Oltretutto la rivoluzione da lui immaginata non è l'aristocratica rivoluzione degli eletti o delle avanguardie depositarie di chissà quali saperi da diffondere tra le masse, bensì quella dei «dannati della terra», dei marginali, di quel sottoproletariato che, sul versante letterario e cinematografico era stata la «cifra» di Pier Paolo Pasolini.
L'album Anime salve (1996) fu l'ultimo del suo breve transito terrestre. Ma non termina però la sua esistenza poetica: questa, grazie alle sue parole, e certamente, grazie anche alla possibilità che abbiamo e che avremo sempre di ascoltare la sua voce davvero magnetica, dalla dizione teatrale della parola, dalla pronuncia da italiano colto... Qualcuno diceva che egli aveva un tratto distintivo incorporato, per così dire, nelle sue canzoni: vale a dire la risonanza del suo registro grave, legata all'estensione molto caratteristica della sua voce.
«Smisurata preghiera» è l'inevitabile conclusione e summa della direzione sia musicale che lessicale dell'intera raccolta: l'andamento costante, lo scandire secco il tempo della batteria sono tipiche delle strutture musicali che compongono buona parte della produzione di Fossati, alla quale questa volta De Andrè conferisce un 'interpretazione assolutamente personale, contrariamente a quanto fatto nei due brani eseguiti in coppia. L'umanità dolente è raccontata dai tanti nomi sconosciuti di chi «viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità e di verità», e la voce si fa tesa, vibrante, paladina di tutte le ingiustizie.
* Ha scritto per le Edizioni Associate tre libri su De André, «Da Marinella a Creuza» ('89), «La cattiva strada» ('95) e «Passaggi di tempo» ('03).
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