
A un passo dalla tregua, ma a Gaza è ancora strage
di Francesca Marretta
su Liberazione del 18/01/2009
«Va bene tutto, purché si smetta di sparare». Le voci che arrivano da Gaza alla notizia del cessate-il-fuoco unilaterale dichiarato dal governo israeliano ieri sera al termine della riunione del consiglio di sicurezza dell'esecutivo Olmert, sono univoche. Il giornalista palestinese Safwat al-Khalut, diventato padre venerdí di Mohammed, il suo sesto figlio nato a Gaza City nonostante le bombe israeliane, parla con un senso di sollievo, sia perché il parto della moglie Iman è riuscito senza problemi, sia per lo spiraglio della tregua. «La gente vuole disperatamente questa tregua. La sola cosa per cui noto preoccupazione è il timore che Gaza torni ancora più indietro. Temiamo di rimanere ancora più separati dal mondo esterno. Non vogliamo solo che il nostro territorio sia aperto agli aiuti umanitari. Non vogliamo vivere in un grande campo profughi da cui non si può uscire. Vogliamo vivere una vita normale». Che umore c'è tra la gente su Hamas? «Premesso che tutti, ripeto, tutti vogliamo la tregua, posso dire che chi sosteneva Hamas prima, continua a sostenerlo, chi è di Fatah, li odia anche di più. Chi non è schierato, capisce che questa dichiarazione per il cessate il fuoco in ultima istanza favorisce Israele. Nonostante questo l'importante è ora sentirne gli effetti immediati qui». Ma, gli chiediamo ancora, hai potuto verificare la posizione degli esponenti di Hamas a Gaza sul cessate il fuoco unilaterale? «I capi di Hamas qui continuano a restare nascosti. La leadership a Damasco e Beirut si sente presa per i fondelli dagli arabi che li hanno fatti fuori dal negoziato. Per questo vorrebbero rovesciare il tavolo». Sempre che ne abbiano ancora la forza...«Finché ci sarà la possibilità di tirare i razzi - conclude Safwat - tutto potrebbe ancora cambiare». Israele ha annunciato la tregua, ma ha ammonito Hamas: l'esercito risponderà ad ogni attacco da Gaza.
Da Damasco, il portavoce di Hamas Mohammed Nizal, ieri sera ha ripetuto che il movimento islamico pone tre condizioni per una tregua: fine dei bombardamenti israeliani, ritiro dell'esercito da Gaza e fine delle chiusure della Striscia. Nizal ha dichiarato di aver presentato tali richieste ai «fratelli egiziani». Che ieri erano impegnati al Cairo con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abbas. L'Autorità che Hamas ha scalzato da Gaza con le armi. Al vertice di Sharm el-Sheikh, in programma oggi, non sono previste trattative tra Israele e Hamas. Ci saranno invece, oltre ai padroni di casa egiziani, Abbas, il premier israeliano Olmert e capi di stato e di governo europei, che subito dopo andranno a Gerusalemme per colloqui separati con Olmert. Con l'intesa firmata a Washington venerdì tra il ministro degli Esteri israeliano Livni e la sua omologa in scadenza Rice, Israele ha voluto evitare di ripetere quello che, dal proprio punto di vista, era stato l'errore commesso alla fine della guerra con Hezbollah nel 2006. Ovvero ha messo l'ipoteca, prima ancora di arrivare ad un cessate il fuoco con Hamas, sulla possibilità di riarmo da parte del movimento islamico attraverso l'Egitto. L'intesa di Washington prevede anche una collaborazione Usa-Nato per togliere completamente ossigeno ad Hamas non solo sul confine egiziano, ma nelle zone del Mar Rosso, del Mediterraneo, nel Golfo di Aden, nell'Oceano Indiano e in Africa Orientale. Programmi di collaborazione tra Israele, Stati Uniti ed Egitto sono già in essere e le rispettive diplomazie sono al lavoro per migliorarle. Bypassando Hamas.
Se a sera è arrivato da parte israeliana l'annuncio sulla tregua, a Gaza, ieri, era ancora guerra. Ancora una volta nel mirino del fuoco israeliano è finita una scuola dell'Unrwa, l'agenzia per i rifugiati palestinesi dell'Onu, a nord di Gaza. Due bambini di cinque e sette anni sono stati uccisi nell'attacco. Nella scuola c'erano milleseicento persone. Incredulo e inferocito per l'ennesimo attacco, il massimo responsabile dell'Unrwa nei territori palestinesi, John Ging, ha dichiarato da Gaza: «Non ci sono parole per descrivere quello che succede. Cosa posso aggiungere? Quei bambini erano innocenti. E questo è vero, quanto è vero che ora sono morti». Le Nazioni Unite a Gaza vogliono ora che s'indaghi sulla possibilità che Israele si sia reso responsabile di crimini di guerra. L'esercito israeliano ha tutte le coordinate delle postazioni Onu e, secondo Ging, era perfettamente a conoscenza del numero di civili rifugiato nella scuola colpita ieri. Al ventiduesimo giorno dall'inizio dell'operazione militare israeliana Piombo Fuso, i morti a Gaza sono, secondo fonti palestinesi, oltre milleduecento, di cui, quattrocentodieci minori, centotto donne, centotredici anziani e cinque stranieri. Oltre cinquemila i feriti. Sebbene alle corde, Hamas ieri ha lanciato ancora razzi verso Israele. Almeno quindici. Senza provocare feriti. Nove soldati sono rimasti feriti negli scontri di ieri nella Striscia, cinque colpiti da un missile anticarro lanciato da miliziani palestinesi, altri quattro da "fuoco amico". Uno è grave. I morti israeliani di questa guerra sono tredici. Dieci soldati e tre civili. Quando le truppe israeliane si ritireranno si capirà l'entità dei danni, materiali e ambientali subiti da Gaza. Ma è chiaro fin da ora che Piombo Fuso è stata la versione ebraica di "Shock and Awe".
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